venerdì 31 agosto 2012

L'anima bella è celata dalla forma.




L'anima bella è celata dalla forma.
Se la scorgi tra fattezze buie
e cuori d'anime perdute,
possiedi il dono dell'occhio della luce,
che non solo vede
ma d'essenza ha sete,
per vedere. ♥ S.G.

Dipinto di Eduardo Anievas Cortines

Socrate. L’insegnante mediocre racconta. Il bravo insegnante spiega. L’insegnante eccellente dimostra. Il maestro ispira

Accade invece che, quando ci si trovi in disaccordo su qualche punto, e quando l'uno non riconosca che l'altro parli bene e con chiarezza, ci si infuria, e ciascuno pensa che l'altro parli per invidia nei propri confronti, facendo a gara per avere la meglio e rinunciando alla ricerca sull'argomento proposto nella discussione.
Socrate


« Queste ridicole e terribili "ultime parole" significano per chi ha orecchie:
«O Critone, la vita è una malattia!»
Socrate


Ero veramente un uomo troppo onesto per vivere ed essere un politico
Socrate

È opportuno che il malvagio venga punito,
quanto lo è che il medico curi l'ammalato:
ogni castigo, infatti, è una sorta di medicina.
Socrate

Alfonso Laganà:
Omne bonum ex virtute oritur




A questo punto, Ateniesi, non parlo tanto per me, come si potrebbe pensare, quanto per voi, che votando contro di me non commettiate un errore rispetto al dono del dio. Perché nel caso che mi uccidiate e non troverete facilmente un altro come me, davvero appiccicato dal dio alla città come a un imponente cavallo di razza, che è però per la sua mole un po pigro e bisognoso di essere stuzzicato da un qualche tafano: così, mi pare, il dio mi ha attaccato alla città con la funzione di svegliarvi, persuadervi, e rimproverarvi uno per uno, intrufolandomi dovunque incessantemente per tutto il giorno.
Socrate



Non dalla ricchezza nasce la virtù,
ma che dalla virtù deriva, piuttosto,
ogni ricchezza e ogni bene,
per l'individuo come per gli stati.
Socrate


L’insegnante mediocre racconta.
Il bravo insegnante spiega.
L’insegnante eccellente dimostra.
Il maestro ispira.
Socrate ‎


Socrate - “Io ho questo unico, straordinario bene che mi salva:
non mi vergogno, infatti, di imparare, ma faccio domande e sono molto grato a chi mi dà risposta.”
― Platone, “Ippia minore”
Diotti Giuseppe, 'Morte di Socrate', 1806


Maieutica, dal greco maia ("madre, levatrice") e téchne ("tecnica"); "arte della levatrice".
In Socrate, la tecnica per cui, attraverso il dialogo, le verità sedimentate nella coscienza vengono portate alla luce


Rosaria Claps:
Attraverso la maieutica di Socrate, ossia l'arte di partorire, di mettere alla luce ciò che l'uomo ha dentro, si raggiungerà l'equilibrio tra spirito e corpo.




Voi siete forse infastiditi con me come chi stia per assopirsi se uno lo sveglia e tirate colpi.
E così mi condannerete a morte tranquillamente, e poi, tutto il resto della vostra vita,
seguirete a dormire, se il dio non si curi di voi mandandovi qualchedun altro in vece mia.”
“Apologia di Socrate”, 32 D

É giunto ormai il tempo di andare, o giudici, io per morire, voi per continuare a vivere.
Chi di noi vada verso un destino migliore è oscuro a tutti, tranne che al dio

Socrate
«C'è dentro di me non so che spirito divino e demoniaco; quello appunto di cui anche Meleto, scherzandoci sopra, scrisse nell'atto di accusa. Ed è come una voce che  io ho dentro sin da fanciullo; la quale, ogni volta che mi si fa sentire, sempre mi dissuade da qualcosa che sto per compiere, e non mi fa mai proposte.»
Apologia di Socrate, 31 d


Datemi bellezza nell'anima interna; fate che l'uomo sia uguale dentro e fuori.
Socrate

Solo gli imbecilli non hanno dubbi."
"Ne sei sicuro?" "Non ho alcun dubbio!"
Socrate

Socrate, So di non sapere (Platone, Apologia)
Siamo di fronte ad una delle tesi piú famose di tutta la storia della filosofia: quella della “docta ignorantia”, che Socrate espone in un momento drammatico della sua vita, durante il processo che si concluderà con la sua condanna a morte. L’equilibrio fra una grande fiducia nella ragione e la profonda consapevolezza della propria ignoranza è uno dei doni piú preziosi che il filosofo Socrate ha lasciato in eredità ai posteri, fino ai nostri giorni.
Platone, Apologia, 20 e-23 c

C'è un solo bene: il sapere. E un solo male: l'ignoranza.
Socrate

È sapiente solo chi sa di non sapere, non chi s'illude di sapere e ignora così perfino la sua stessa ignoranza.
Socrate

Beh, io sono sicuramente più saggio di quest'uomo. E’ probabile che nessuno di noi due sappia qualcosa, ma lui pensa di sapere qualcosa che non sa, mentre io sono ben consapevole della mia ignoranza. Lui si illude di sapere, io so di non sapere.
Socrate


Costui crede di sapere mentre non sa; io almeno non so, ma non credo di sapere. Ed è proprio per questa piccola differenza che io sembro di essere più sapiente, perché non credo di sapere quello che non so.
Socrate

"Perché non è che io abbia delle certezze e faccia dubitare gli altri, ma io, che sono dubbioso più di chiunque altro, fo sì che anche gli altri, dubbiosi, lo diventino. E così, tornando alla virtù, io non so cosa essa sia. Tu, Menone, forse lo sapevi prima di toccare me: ora, invece, sei divenuto simile ad uno che non sa. Comunque voglio indagare con te ciò che essa sia."
Platone - "Menone", 79e-80d


Uomo conosci te stesso.. e conoscerai l'universo e gli dei
Socrate

Avendo il minimo dei desideri si è più vicino agli dei

Chi vuol muovere il mondo muova prima se stesso
Socrate

Una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta.
Socrate

Perché ti meravigli tanto se viaggiando ti sei annoiato?
Portandoti dietro te stesso hai finito col viaggiare proprio con quell'individuo dal quale volevi fuggire.
Socrate

Non aggiungere anni alla vita, ma la vita agli anni
Socrate

Dai pensieri più profondi spesso si origina l'odio più mortale.
Socrate

Sposati : se trovi una buona moglie, sarai felice;
se ne trovi una cattiva, diventerai filosofo
Socrate

Non mi preoccupo affatto per le cose di cui si preoccupa la maggior parte della gente: 
affari, denaro, amministrazione dei beni, cariche di stratega, successi oratori in pubblico, magistrature, coalizioni, fazioni politiche. Non ho intrapreso questa via...ma quella grazie alla quale, a ciascuno di voi in particolare, potrò arrecare il maggiore dei benefici tentando di persuaderlo a preoccuparsi meno per quello che possiede e più di ciò che è lui stesso, al fine di diventare il più possibile eccellente e ragionevole.
Socrate


Che strana cosa, amici, par che sia quello che che la gente chiama piacere, e che meraviglioso rapporto per natura con quello che sembra il suo contrario, il dolore! E pensare che entrambi insieme non vogliono mai trovarsi nell'uomo; ma quando qualcuno insegua uno, e lo prenda, costui si trova in certo modo costretto a prendere sempre anche l'altro, quasi che sebbene siano due, pure si trovino legati allo stesso capo. Se Esopo, il grande scrittore di favole, ne avesse avuto sentore, certamente avrebbe composto una nuova
Socrate, Fedone





SUL PROBLEMA DELLE FONTI
Estremamente suggestive sono le pagine del "Fedro" ove Platone interpreta la ragione per cui Socrate non avrebbe scritto nulla , perché lo scrivere é sempre, alla fine, un discorso che costruisce un certo sistema, che diviene "il passato", che non tiene più conto degli altri, che non si fa e si diversifica, di volta in volta, dialetticamente, situazione per situazione, formando uomini che siano davvero, volta a volta, se stessi, viventi nel presente che delinea il futuro; esso, lo scrivere, invece si riferisce a "pappagalli delle muse altrui", del passato e perciò stesso, nel sistema e nell'ordine dato, non criticamente discusso; si riferisce a uomini morti, quale che sia la posizione assunta, sia pur essa nuovissima. 
Francesco Adorno - "Introduzione a Socrate"


Gli oligarchi, i grossi signori, che agivano esclusivamente per interesse personale, ed una parte degli stessi sofisti ateniesi, accusavano Socrate di essere un "democratico": un uomo che formava uomini in rapporti di comune ragionevolezza, mediante la discussione.
Francesco Adorno - "Introduzione a Socrate"




io credo che, per me, ci sia solo un gran galantuomo: 
il Tempo! Che se da una parte toglie, poi rende anche.. 
Ma è solo un mio personalissimo modo di vedere. 
Non esistono ricette universali ma tutto si gioca sulla persona e sul suo peculiare modo di essere e di reagire al dolore di qualsiasi natura esso sia!


 Un giorno un uomo andò a trovare Socrate e gli disse:
"Ascolta, devo raccontarti quel che ha fatto un tuo amico"
"Ti interrompo subito" rispose Socrate: "Hai filtrato quello che mi devi dire attraverso tre setacci?"
Visto che l'uomo lo guardava perplesso aggiunse:
"Prima di parlare bisogna sempre passare quello che si vuole dire attraverso tre setacci.
Il primo è quello della verità: hai verificato se è vero?"
"No, l'ho sentito dire e…
"Bene, suppongo che tu l'abbia fatto passare almeno attraverso il secondo setaccio, quello della bontà: ciò che vuoi raccontare è buono?"
L'uomo esitò poi rispose: "No, purtroppo non è una cosa bella, anzi…"
"Mmmm…" Disse Socrate "Vediamo comunque il terzo setaccio: è utile che tu mi racconti questa cosa?"
"Utile? Non esattamente…"
"Allora non parliamone più. Se quello che hai da dirmi non è né vero, né buono, né utile, preferisco non saperlo e ti consiglio di dimenticarlo anche tu…"
I tre setacci di Socrate
GLI AMICI (Socrate)
Nell'antica Grecia, Socrate era stimato per la sua saggezza.
Un giorno, un conoscente lo avvicinò e gli disse:
sai cosa ho sentito a proposito di quel tuo amico?
Aspetta un attimo, lo interruppe Socrate.
...
Prima di dirmelo, vorrei ti sottoponessi ad un piccolo test che ho chiamato il test del triplo filtro.
Triplo filtro?
Proprio cosi continuò Socrate.
Prima che tu mi parli del mio amico, potrebbe essere una buona idea di filtrare quello che andrai a dire. Perciò lo chiamo il test del triplo filtro.
Il primo filtro è la verità. Sei assolutamente sicuro che quello che stai per dirmi e' vero? 
No disse l'uomo. Veramente ne ho solo sentito parlare e.......
- Bene disse Socrate, perciò non sai se è proprio la verità o no.
Ora passiamo al secondo filtro, il filtro della virtù.
E' qualcosa di buono che stai per dirmi a riguardo del mio amico?
No al contrario.......
Bene continuò Socrate, vuoi dirmi qualcosa di negativo su di lui, ma non sai se è proprio vero.
- Devi comunque sottoporti all'ultimo test, quello dell'utilità. Quello che stai per dirmi a proposito del mio amico potrebbe essermi utile?
Beh, non realmente.......
Ora, concluse Socrate, se vuoi dirmi qualcosa che non è vero, ne buono e neppure utile perche farlo?

Dan Millman, "La storia del guerriero di pace". Ed è in effetti una storia che ha come protagonista Socrate. 


Socrate dava troppa importanza alla ragione a discapito delle emozioni. Sicuramente la cosa da dire sarebbe stata utile all'interlocutore per entrare nelle grazie di Socrate a discapito dell'amico per esempio, ma oggi come allora l'ipocrisia spadroneggia, o forse il filosofo sapeva e se ne fregava... Chissà...



Socrate, So di non sapere (Platone, Apologia)
Siamo di fronte ad una delle tesi piú famose di tutta la storia della filosofia: quella della “docta ignorantia”, che Socrate espone in un momento drammatico della sua vita, durante il processo che si concluderà con la sua condanna a morte. L’equilibrio fra una grande fiducia nella ragione e la profonda consapevolezza della propria ignoranza è uno dei doni piú preziosi che il filosofo Socrate ha lasciato in eredità ai posteri, fino ai nostri giorni.
Platone, Apologia, 20 e-23 c

1 [20 e] [...] Della mia sapienza, se davvero è sapienza e di che natura, io chiamerò a testimone davanti a voi il dio di Delfi. Avete conosciuto certo Cherefonte. Egli fu mio [21 a] compagno fino dalla giovinezza, e amico al vostro partito popolare; e con voi fu esule nell’ultimo esilio, e ritornò con voi. E anche sapete che uomo era Cherefonte, e come risoluto a qualunque cosa egli si accingesse. Or ecco che un giorno costui andò a Delfi; e osò fare all’oracolo questa domanda: – ancora una volta vi prego, o cittadini, non rumoreggiate – domandò se c’era nessuno piú sapiente di me. E la Pizia rispose che piú sapiente di me non c’era nessuno. Di tutto questo vi farà testimonianza il fratello suo che è qui; perché Cherefonte è morto.
2 [b] Vedete ora per che ragione vi racconto questo: voglio farvi conoscere donde è nata la calunnia contro di me. Udita la risposta dell’oracolo, riflettei in questo modo: “Che cosa mai vuole dire il dio? che cosa nasconde sotto l’enigma? Perché io, per me, non ho proprio coscienza di esser sapiente, né poco né molto. Che cosa dunque vuol dire il dio quando dice ch’io sono il piú sapiente degli uomini? Certo non mente egli; ché non può mentire”. – E per lungo tempo rimasi in questa incertezza, che cosa mai il dio voleva dire. Finalmente, sebbene assai contro voglia, mi misi a farne ricerca, in questo modo. Andai da uno di [c] quelli che hanno fama di essere sapienti; pensando che solamente cosí avrei potuto smentire l’oracolo e rispondere al vaticinio: “Ecco, questo qui è piú sapiente di me, e tu dicevi che ero io”. – Mentre dunque io stavo esaminando costui, – il nome non c’è bisogno ve lo dica, o Ateniesi; vi basti che era uno dei nostri uomini politici questo tale con cui, esaminandolo e ragionandoci insieme, feci l’esperimento che sono per dirvi; – ebbene, questo brav’uomo mi parve, sí, che avesse l’aria, agli occhi di molti altri e particolarmente di se medesimo, di essere sapiente, ma in realtà non fosse; e allora mi provai a farglielo capire, che [d] credeva essere sapiente, ma non era. E cosí, da quel momento, non solo venni in odio a colui, ma a molti anche di coloro che erano quivi presenti. E, andandomene via, dovetti concludere meco stesso che veramente di cotest’uomo ero piú sapiente io: in questo senso, che l’uno e l’altro di noi due poteva pur darsi non sapesse niente né di buono né di bello; ma costui credeva sapere e non sapeva, io invece, come non sapevo, neanche credevo sapere; e mi parve insomma che almeno per una piccola cosa io fossi piú sapiente di lui, per questa che io, quel che non so, neanche credo saperlo. E quindi me ne andai da un altro, fra coloro che avevano fama di essere piú sapienti di quello; [e] e mi accadde precisamente lo stesso; e anche qui mi tirai addosso l’odio di costui e di molti altri.
3 Ciò nonostante io seguitai, ordinatamente, nella mia ricerca; pur accorgendomi, con dolore e anche con spavento, che venivo in odio a tutti: e, d’altra parte, non mi pareva possibile ch’io non facessi il piú grande conto della parola del dio. – “Se vuoi conoscere che cosa vuole dire l’oracolo, dicevo tra me, bisogna tu vada da tutti coloro che hanno fama di essere sapienti”. – Ebbene, o cittadini [22 a] ateniesi, – a voi devo pur dire la verità, – questo fu, ve lo giuro, il risultato del mio esame: coloro che avevano fama di maggior sapienza, proprio questi, seguitando io la mia ricerca secondo la parola del dio, mi apparvero, quasi tutti, in maggior difetto; e altri, che avevano nome di gente da poco, migliori di quelli e piú saggi. Ma voglio finire di raccontarvi le mie peregrinazioni e le fatiche che sostenni per persuadermi che era davvero inconfutabile la parola dell’oracolo.
4 Dopo gli uomini politici andai dai poeti, sí da quelli che scrivono tragedie e ditirambi come dagli [b] altri; persuaso che davanti a costoro avrei potuto cogliere sul fatto la ignoranza mia e la loro superiorità. Prendevo in mano le loro poesie, quelle che mi parevano le meglio fatte, e ai poeti stessi domandavo che cosa volevano dire; perché cosí avrei imparato anch’io da loro qualche cosa. O cittadini, io ho vergogna a dirvi la verità. E bisogna pure che ve la dica. Insomma, tutte quante, si può dire, le altre persone che erano presenti, ragionavano meglio esse che non i poeti su quegli argomenti che i poeti stessi avevano poetato. E cosí anche dei poeti in breve conobbi questo, [c] che non già per alcuna sapienza poetavano, ma per non so che naturale disposizione e ispirazione, come gl’indovini e i  vaticinatori; i quali infatti dicono molte cose e belle, ma non sanno niente di ciò che dicono: presso a poco lo stesso, lo vidi chiarissimamente, è quello che accade anche dei poeti. E insieme capii anche questo, che i poeti, per ciò solo che facevano poesia, credevano essere i piú sapienti degli uomini anche nelle altre cose in cui non erano affatto. Allora io mi allontanai anche da loro, convinto che ero da piú di loro per la stessa ragione per cui ero da piú degli uomini politici.
5 Alla fine mi rivolsi agli artisti: tanto piú che dell’arte loro sapevo benissimo di non intendermi affatto, [d] e quelli sapevo che li avrei trovati esperti di molte e belle cose. E non m’ingannai: ché essi sapevano cose che io non sapevo, e in questo erano piú sapienti di me. Se non che, o cittadini di Atene, anche i bravi artefici notai che avevano lo stesso difetto dei poeti: per ciò solo che sapevano esercitar bene la loro arte, ognuno di essi presumeva di essere sapientissimo anche in altre cose assai piú importanti e difficili; e questo difetto di misura oscurava la loro stessa sapienza. Sicché io, in nome dell’oracolo, [e] domandai a me stesso se avrei accettato di restare cosí come ero, né sapiente della loro sapienza né ignorante della loro ignoranza, o di essere l’una cosa e l’altra, com’essi erano: e risposi a me e all’oracolo che mi tornava meglio restar cosí come io ero.
6 Or appunto da questa ricerca, o cittadini ateniesi, [23 a] molte inimicizie sorsero contro di me, fierissime e gravissime; e da queste inimicizie molte calunnie, e fra le calunnie il nome di sapiente: perché, ogni volta che disputavo, credevano le persone presenti che io fossi sapiente di quelle cose in cui mi avveniva di scoprire l’ignoranza altrui. Ma la verità è diversa, o cittadini: unicamente sapiente è il dio; e questo egli volle significare nel suo oracolo, che poco vale o nulla la sapienza dell’uomo; e, dicendo Socrate sapiente, non volle, io credo, riferirsi propriamente a me Socrate, ma solo usare del mio nome come di un [b] esempio; quasi avesse voluto dire cosí: “O uomini, quegli tra voi è sapientissimo il quale, come Socrate, abbia riconosciuto che in verità la sua sapienza non ha nessun valore”. – Ecco perché ancor oggi io vo dattorno ricercando e investigando secondo la parola del dio se ci sia alcuno fra i cittadini e fra gli stranieri che io possa ritenere sapiente; e poiché sembrami non ci sia nessuno, io vengo cosí in aiuto al dio dimostrando che sapiente non esiste nessuno. E tutto preso come sono da questa ansia di ricerca, non m’è rimasto piú tempo di far cosa veruna considerabile né per la città né per la mia casa; e vivo in estrema [c] miseria per questo mio servigio del dio. [...]

Platone, Opere, vol. I, Laterza, Bari, 1967, pagg. 38-41

http://www.filosofico.net/Antologia_file/AntologiaS/SOCRATE_%20SO%20DI%20NON%20SAPERE%20(PLATO.htm



I GRECI E LA LORO SAGGEZZA Massime, Sentenze e Aforismi


Gli aforismi dei filosofi



I sentieri della filosofia







Epoché. La sospensione del giudizio.




Sesto Empirico.
- La serenità di spirito degli scettici -
«Sospensione del giudizio» è un atteggiamento della mente, per cui né rifiutiamo né accettiamo. «Imperturbabilità», poi, vale assenza di turbamenti e serenità di spirito.”
SESTO EMPIRICO (160 ca. – 210), “Schizzi pirroniani in tre libri”, tradotti da Onorato Tescari (versione condotta sull’edizione curata da H. Mutschmann, qui sotto riportata), Laterza, Bari 1926 (I ed, Libro primo, 4. ‘Che cosa è lo Scetticismo’, 10, p. 10.
“ «ἐποχὴ» δέ στάσις διανοίας δι᾿ ἣν οὔτε αἴρομέν τι οὔτε τίθεμεν. «ἀταραξία» δέ ἐστι ψυχῆς ἀοχλησία καὶ γαληνότης.”
ΣΕΞΤΟΥ ΕΜΠΕΙΡΙΚΟΥ “Πυῤῥώνειων ὑποτυπώσεων Α Β Γ”, recensuit Hermannus Mutschmann, Lipsiae in Aedibus B. G. Teuberneri 1912, ‘Τῶν εἰς τρία τὸ πρῶτον’, δ΄ ‘Τί ἐστι σκέψις’, 10 ₅, p. 8.


Epoché. La sospensione del giudizio.
La sospensione del giudizio o epoché (traslitterazione del greco antico "ἐποχή" ossia "sospensione") è l'astensione da un determinato giudizio o valutazione, qualora non risultino disponibili sufficienti elementi per formulare il giudizio stesso.
Si tratta di un processo cognitivo, nonché uno stato della mente, particolarmente implicato nella formazione di giudizi etici e morali. La nozione opposta a questa è quella di pregiudizio, cioè un giudizio formulato in assenza di ragioni oggettive al quale tuttavia viene accordata la piena convinzione di validità. Laddove il pregiudizio conduce a trarre conclusioni o a formulare giudizi in assenza di un numero sufficiente di informazioni, la sospensione del giudizio impone di astenersi da simili atti fino al raggiungimento della necessaria quantità di informazione.
La sospensione del giudizio è un principio metodologico basilare. Una buona parte del metodo scientifico tende a incoraggiare la sospensione del giudizio in merito a un'ipotesi prima che la stessa sia stata opportunamente formulata, testata e verificata.
Nei contesti sociopolitici essa è una pietra miliare dello sviluppo civile delle società, basata sulla convinzione che nessun punto di vista parziale può essere immediatamente (in assenza di consenso) elevato a universale. Rimedio al fanatismo, permette di risolvere, e più spesso di evitare, i conflitti dovuti all’incomprensione reciproca.
In filosofia, la sospensione del giudizio viene tipicamente associata allo scetticismo e al positivismo, pur non esaurendosi in questi ambiti. Il razionalista secentesco Cartesio, ad esempio, ne ha fatto il fondamento della sua epistemologia. Nel procedimento da lui denominato "dubbio metodico", ha affermato che, in ordine alla costituzione di una conoscenza certa e salda, è necessario dubitare di qualunque cosa (ovvero, non bisogna dare niente per scontato). Solo eliminando i preconcetti e i pregiudizi è possibile conoscere la verità.

Origine del termine [modifica]

La "sospensione del giudizio" è stata teorizzata in modo sistematico e esauriente per la prima volta nell'antica Grecia, in particolar modo da due grandi correnti di pensiero: l'"accademia media" platonica (attiva dal III secolo a.C. al I secolo a.C.) e un gruppo di filosofi detti neo-pirroniani (o "veri scettici") (attivi fra il I e II secolo d.C.) La "sospensione del giudizio" consiste nel sospendere il proprio assenso non ai fenomeni (di per sé innegabili), ma al fatto che ai fenomeni, o a delle formulazioni di pensiero (come, ad esempio, la cosmologia stoica) corrisponda la vera realtà. Bisogna essere consapevoli che della realtà non possiamo che avere un giudizio soggettivo, quindi parziale e falsato. Per questo bisogna sospendere il giudizio, il che successivamente porta casualmente (in quanto i rapporti di causa-effetto sono criticati dagli scettici) all'imperturbabilità o ataraxia nell'ambito delle opinioni,  (Atarassia: il termine indica quella condizione esistenziale ideale caratterizzata da assoluta imperturbabilità di fronte alle passioni e, perciò, esente da ogni dolore.Il termine proviene infatti dalla lingua greca: ἀταραξία (da α + ταραξις). Letteralmente "assenza d'agitazione"e del moderato patire  o metriopatheia di fronte alle necessità ineluttabili dell'esistenza umana. Per spiegare il rapporto casuale tra epochè e ataraxia Sesto Empirico ricorre alla metafora del pittore Apelle (Lineamenti pirroniani I, 19-35):
«Dicono infatti che egli, avendo dipinto un cavallo e desiderando raffigurare nel quadro la schiuma della bocca del cavallo, ebbe così poco successo, che rinunciò e gettò contro l'immagine la spugna in cui detergeva i colori del pennello: e dicono anche che questa, una volta venuta a contatto con il cavallo, produsse una rappresentazione della schiuma. Anche gli scettici, dunque, speravano di impadronirsi dell'imperturbabilità dirimendo l'anomalia degli eventi sia fenomenici sia mentali, ma, non essendo in grado di riuscirci, sospesero il giudizio; e a questa loro sospensione seguì casualmente l'imperturbabilità, come ombra a corpo.  »

Sospensione di giudizio in Cartesio [modifica]

La sospensione di giudizio la ritroviamo anche in Cartesio; infatti egli afferma che, per non sbagliare, l'uomo deve sospendere il giudizio dubitando di tutto, si parte con il dubitare delle cose più semplici (dubbio metodico) fino a quelle più complesse (dubbio iperbolico). Secondo Cartesio si può dubitare di tutto, tranne del fatto che sto dubitando; ma se dubito allora penso e se penso sono, da qui la celebre frase "cogito ergo sum". Successivamente bisogna sottoporre le cose di cui ho dubitato al metodo, che in Cartesio è filosofico e non matematico come affermava Galileo Galilei.


Roberto Calasso. L'Ardore. Delle avventure di Mente e Parola

Una delle malattie più gravi di cui soffriamo è quella del Pieno:
la malattia di chi vive in un continuo mentale occupato da un vorticare di parole smozzicate, di immagini stolidamente ricorrenti, di inutili e infondate certezze, di timori formulati in sentenze prima che emozioni
R. Calasso,  La follia che viene dalle ninfe


"I rapporti fra Mente e Parola furono sempre tesi e turbolenti. Una volta si scontrarono come due guerrieri o due amanti. Ciascuna pretendeva di eccellere sull'altra. «Mente disse: "Sicuramente io sono migliore di te, perché tu non dici nulla che io non capisca; e poiché tu imiti ciò che ho fatto e segui nella mia scia, sicuramente sono migliore di te". Parola disse: "Sicuramente sono migliore di te, perché faccio apprendere ciò che tu conosci, lo faccio comprendere". «Si appellarono a Prajäpati perché decidesse. Egli decise in favore di Mente e disse [a Parola] : "Mente senz'altro migliore di te, perché imiti ciò che ha fatto Mente e segui nella sua scia"; e invero chi imita ciò che ha fatto uno migliore e segue nella sua scia è inferiore. “Allora Parola, essendo stata contraddetta, rimase costernata e abortì. Essa, Parola, disse allora a Prajapati: “Che io non sia mai colei che ti porta le oblazioni, io che da te sono stata respinta”. Perciò, qualsiasi cosa nel sacrificio si celebri per Prajapati, lo si celebra a voce bassa, perché Parola non fu più portatrice di oblazioni per Prajapati”. 
La disputa tra Mente e Parola per il primato ricorda quella che avverrà in Grecia fra parola detta e parola scritta. E forse in questo slittamento di pianista una differenza ineliminabile fra Grecia e India: in Grecia la Parola, il Logos, prende il posto che in India ha la Mente, Manas. Per il resto, gli argomenti del contrasto sono gli stessi. Ciè che in India è accusato di essere secondario, imitativo e derivato (la Parola) diventa in Grecia la potenza che rivolge le stesse accuse alla parola scritta. In Grecia, ciò che accade si svolge all’interno della parola. In India, ha origine in qualcosa che precede la parola: Mente".
Roberto Calasso, L'Ardore. Delle avventure di Mente e Parola, pp. 147-148



"Ora, insieme al corpo di Core, Eros penetra nel regno dei morti. Persefone dalle sottili caviglie è la freccia flessibile che Afrodite aveva ingiunto a Eros di scoccare su Ade[...] ogni anno, per una metà dell'anno, Persefone sarebbe tornata ad essere la sposa di Ade. (Quando Persefone tornò da Demetra) si avvicinarono a loro soltanto due donne. La prima fu Ecate, corvina e illuminata da un diadema. Aveva aiutato la madre mentre vagava disperata, sarebbe stata ora una guida preziosa per la figlia. Nessun'altra donna conosceva come lei le vie che collegano la terra e il regno sotterraneo. Poi si avvicinò Rea, nuova messaggera dell'Olimpo. Scuotendo la ricca chioma, ripeteva le promesse di Zeus e sigillava la pace. Demetra si alzò per tornare all'Olimpo. Mentre la dea si allontanava nel suo lungo peplo turchino, il bianco orzo che si era celato malignamente nel suolo riapparve alla luce. I solchi aridi diventavano molli di terra grassa, mentre le foglie e i fiori tornavano a offrirsi al sole, come se nulla fosse successo e la natura si stesse sciogliendo pigramente da un lungo sonno."
Roberto Calasso, "Le nozze di Cadmo e Armonia"



Nietzsche, Kraus, Robert Walser, Adorno, Bazlen, Céline, Benjamin, Freud, Benn, Brecht, Schreber, Wedekind, Bloy, Reich, Léautaud, Heidegger, Michelet, Stendhal, Marx, Weininger, Simone Weil, Stirner, Flaubert, Hofmannsthal: 
di loro – e di altri (tutti appartenenti a quell’età arcaica che fu chiamata «il moderno») – si parla in questo libro. Sono incontri che hanno lasciato traccia in saggi, indagini, articoli composti nel corso di più di vent’anni e qui presentati nell’ordine in cui sono stati scritti. Le connessioni sono molto fitte – e dovrebbero affiorare strada facendo. Così, se all’inizio incontriamo la tesi di Nietzsche su «come il “mondo vero” finì per diventare favola», alla fine le risponderà un saggio su quel terrore delle favole che sta sul fondo della disputa teologica di Platone contro Omero e ancora oggi opera fra le quinte della nostra mente. Come anche: percorre il libro da capo a fondo, ma già è accennato nel titolo, un simultaneo omaggio ai mani di Walter Benjamin e di Alfred Hitchcock.
Roberto Calasso, i quarantanove gradini.




I cinquantamila libri di Roberto Calasso:
«Li catalogo in ordine geologico. Non sono bibliofilo.
Ho accanto a me solo volumi che uso.
Preferisco definirmi un acquirente onnivoro»
(la Repubblica, giovedì 26 marzo 2015)

La biblioteca di Roberto Calasso è come i libri che ha scritto:
in apparenza priva di metodo e disposta secondo un ordine che non salta all’occhio, come se il proprietario non volesse mettere in evidenza i volumi più importanti, o forse perché il vero sapere sta in un’essenza che rinvia al sacro e al rito, e che sta oltre il testo, come l’essenza dell’icona bizantina sta oltre l’immagine dipinta. Quasi tutti i libri sono avvolti in pergamino, una sorta di carta velina, che quasi impedisce di leggere il dorso, quindi il titolo e l’autore.

Calasso stesso, prima di cominciare il tour tra i 50mila volumi accumulati lungo tutta la sua vita, più da scrittore che da editore, fa una premessa. Socchiude gli occhi e dice: «Mostrare la propria libreria è come far entrare un estraneo nell’intimità. È come raccontare i propri flirt. Una cosa da evitare. Perciò ho resistito a lungo all’idea. Poi l’occasione è diventata il pungolo per scrivere un piccolo libro sui libri e su come usarli. Arrivati a questo punto, l’intervista dovevamo farla». Il libretto lo sta già scrivendo. «Non sono un bibliofilo», precisa, «tengo accanto a me solo libri che uso. La mia biblioteca è un insieme geologico: i vari strati corrispondono ai libri che ho scritto (anche a quelli non pubblicati) e a passioni che si sono succedute. I libri sono disposti in diversi studi, nella mia abitazione (una casa settecentesca nel centro di Milano), ma anche in altri due appartamenti e in casa editrice, dove sono a disposizione di tutti i collaboratori». Calasso ha una storia d’amore con quel pensiero che mette in risalto le contraddizioni irrisolvibili della modernità. Irrisolvibili, perché la modernità, che vuol dirsi razionale, è debitrice invece del senso del sacro, antico come l’essere umano. E basti pensare a La Folie Baudelaire con la scena chiave del sogno del poeta in un museo-bordello: rito e trasgressione; o alla Rovina di Kasch, dove Talleyrand e gli anni della Rivoluzione francese sono messi a confronto con un’antica leggenda africana e con il sapere dell’India vedica.

Lo scrittore comincia con una piccola libreria. «Ce l’avevo nella mia stanza da ragazzo a Firenze». Mostra l’edizione Pléiade della Recherche di Proust. «È un regalo di Natale che ho chiesto quando avevo 13 anni, da lì sono partito. In quei giorni mi trovavo a letto, per un incidente. Così ho cominciato a leggere la Recherche in una situazione ideale, sfruttando i vantaggi della malattia, come diceva Freud». Prosegue con altri libri che sono consoni alla sua formazione di base: «Ecco tutto Goethe, tutto Robert Walser, la prima edizione dell’Uomo senza qualità di Musil. Per completarla mi ci sono voluti anni».
Ed ecco gli scritti di Adorno, con le sue dediche. Poi mostra testi di Thomas Browne, oggetto della sua tesi di laurea, scrittore esoterico e scientifico. Si prosegue con Walter Benjamin e occorre fare una pausa. K. è un testo che Calasso ha dedicato a Kafka, inventandosi un romanzo su un romanzo, Il castello. Libro che non sarebbe potuto esistere senza Benjamin, senza la sua tecnica di digressioni e commenti e senza la sua tensione messianica e al contempo profana. E a proposito di profanità, anzi di ateismo non materialista unito alla critica del linguaggio, spuntano gli scritti di Fritz Mauthner, filosofo di origini boemo-ebraiche, scomparso nel 1923 e con cui si misurò Wittgenstein.

Dopo aver svelato l’eclettismo su cui poggia la sua produzione, Calasso ci introduce invece in un regno della metodicità. È una stanza rettangolare con una luce che filtra da due grandi finestre. «Ho sempre pensato che avrei dovuto avere una stanza dove mettere insieme la Loeb (collana di classici greci e latini della Harvard University) e le Belles Lettres, suo equivalente francese». La collezione occupa una parete. Di fronte: «A rispecchiarsi coi classici, c’è una parete di testi e studi indiani». Accanto ai classici: il Lexicon Iconographicum Mythologiae Classicae, dell’Artemis Verlag; il Thesaurus Cultus et Rituum Antiquorum, del Getty, che parlano di tutti gli aspetti della vita degli antichi. «Sono due grandi opere che si sono elaborate in questi ultimi trent’anni, grazie a folte squadre di studiosi», spiega il padrone di casa e indica il Lexicon di Wilhelm Roscher, «una impresa ottocentesca, insuperabile, inventata da un uomo solo. Quando ho scritto Le nozze di Cadmo e Armonia è stata per me preziosa e la uso ancora ogni giorno». E poi un dizionario dei personaggi del Mahabharata e la collana dei Sacred Books of the East fondata da Max Müller, 50 volumi di classici orientali. «Senza questa parete non ci sarebbe L’ardore, né Ka», precisa.

La visita dura cinque ore. E, tirando fuori volumi preziosissimi, Calasso smentisce l’affermazione per cui non sarebbe un bibliofilo (preferisce definirsi «un acquirente onnivoro»). Per sommi capi e citando il padrone di casa: «Ecco la prima edizione del Törless di Musil del 1906, romanzo di un esordiente di ventisei anni, stampato da una casa editrice non memorabile di Vienna; la prima edizione in tedesco della Atalanta Fugiens di Michael Maier (un testo leggendario dell’alchimia). Poi il Dictionnaire Historique e Critique di Bayle». E occorre fare un’altra pausa. Pierre Bayle, autore della seconda metà del Seicento, era una specie di proto enciclopedista. Le pagine del Dictionnaire si presentano simili ai testi talmudici. Il testo che sembra principale ed è stampato in caratteri grandi è accompagnato da foltissime note e rimandi in margini. Ma il messaggio vero si nasconde nelle note, nei commenti, e non nel testo principale. E viene in mente I quarantanove gradini di Calasso, libro iniziatico, compendio di sapienza che sta nel commento. Che altro? La collezione di Die Fackel, rivista di Karl Kraus, «acquistata da un antiquario, forse ex nazista, di Vienna, prima che si diffondesse il culto della Grande Vienna»; la prima edizione, introvabile perché mandata al macero dalla famiglia, delle memorie del presidente Schreber (personaggio chiave di Freud e protagonista de L’impuro folle di Calasso); il catalogo della biblioteca di Talleyrand, la prima edizione del Tractatus theologicopoliticus di Spinoza («la usava mio nonno Ernesto Codignola»). Infine il Sofocle di Aldo Manuzio, «origine di tutti i paperback»; un minuscolo Giordano Bruno (il De Triplici Minimo) e uno schieramento di opere del gesuita poligrafo Athanasius Kircher, per non parlare di certi estratti di Aby Warburg, con dediche ai familiari e comprati all’asta da Sotheby’s («non si erano accorti di cosa stavano vendendo»).
A fine giornata, Calasso, questa volta nello studio in casa editrice, di fronte alla libreria che contiene ciò che rimane della biblioteca di Roberto Bazlen, l’uomo all’origine di Adelphi, parla degli scrittori più amati. In particolare di due: Brodskij: «La poesia faceva parte di lui come il respiro e la circolazione del sangue»; e soprattutto Kafka: «Nessun altro ha saputo come lui ridurre l’immenso accumulo della storia a dati essenziali, non ulteriormente riducibili, che coinvolgono chiunque». Ecco svelato il (non) metodo Calasso: inanellare testi, digressioni, commenti, per andare all’origine di ogni cosa. O almeno a questo dovrebbero servire i suoi 50mila libri.
Wlodek Goldkorn





Territorio Bateson. LA SEMPLIFICAZIONE È UN'OPERAZIONE DEL TUTTO NATURALE E SPONTANEA, che HA PROBABILMENTE UN FORTE VALORE DI SOPRAVVIVENZA. DI FRONTE ALLA COMPLESSITÀ DISARMANTE E ALLARMANTE DEL MONDO, NON SOLO LO SCIENZIATO MA TUTTI GLI ESSERI UMANI NE TENTANO UNA SEMPLIFICAZIONE, ANZI UNA RICOSTRUZIONE. CHE COSA FANNO L'ARTISTA, IL RITRATTISTA, IL COMPOSITORE, IL NARRATORE, LO SCIENZIATO, IL TECNICO SE NON TENTARE DI RICOSTRUIRE IL MONDO SECONDO REGOLE E PROCEDIMENTI DIVERSI MA TUTTI ESSENZIALMENTE VOLTI A FORNIRNE UN MODELLO PIÙ SEMPLICE NEL QUALE SCOPRIRE LA "VERITÀ" O ADDIRITTURA VIVERE MEGLIO?


Territorio Bateson. a cura di Anna Cotugno e Giovanni Di Cesare

Epistemologia della differenza.

 Giuseppe O. Longo

1. Contesto e riduzionismo

Ho scelto questo titolo perché richiama e riassume quella grande svolta epistemologica del Novecento che è legata all'informazione, al significato, alla ridondanza, all'ordine e alla struttura, e di cui GREGORY BATESON è stato uno dei protagonisti.
Bateson cominciò ad esplorare questo territorio sulla scoria di un aforisma di Alfred Korzybski: "LA MAPPA NON È IL TERRITORIO"; enunciato che a tutta prima può sembrare ovvio se non banale, ma che permise a Bateson di por mano alla costruzione di UN'EPISTEMOLOGIA NUOVA, CHE SI CONTRAPPONE IN MODO RADICALE A QUELLA DELLE SCIENZE DELLA NATURA, IN PARTICOLARE DELLA FISICA.
Quali sono le differenze tra queste due epistemologie, quella CLASSICA, che risale più o meno a Galilei e che forse è ancora dominante, e quella nuova, ormai robusta ma non ancora compiutamente sviluppata?
In primo luogo, mentre LA FISICA RAGGIUNGE I PROPRI RISULTATI GRAZIE A UNA SEMPLIFICAZIONE che consiste nel SOPPRIMERE IL CONTESTO E NEL CONSIDERARE SOLO SISTEMI E FENOMENI ISOLATI, NELL'EPISTEMOLOGIA INFORMAZIONALE(1) IL CONTESTO È FONDAMENTALE: NON VI SONO FENOMENI, EVENTI, COMUNICAZIONI, ACCADIMENTI, TRASFORMAZIONI CHE NON SIANO ESSENZIALMENTE INSERITI IN UN CONTESTO, nel senso che SOLO DAL CONTESTO ESSI RICEVONO IL LORO SIGNIFICATO E SOLO IN BASE AD ESSO POSSONO ESSERE DESCRITTI E SPIEGATI.
In altre parole; MENTRE LA FISICA HA OTTENUTO E IN BUONA PARTE ANCORA OTTIENE I SUOI COSPICUI RISULTATI ATTRAVERSO LA PRATICA DEL RIDUZIONISMO(2), cioè grazie all'ELIMINAZIONE DI TUTTI I LEGAMI CHE A PRIORI CONNETTONO IL FENOMENO O IL SISTEMA CONSIDERATO AL CONTESTO PIÙ AMPIO; NEL CAMPO DELL'INFORMAZIONE E DELLA COMUNICAZIONE QUESTI NESSI NON POSSONO ESSERE RECISI PERCHÉ COSTITUISCONO LE RELAZIONI CHE DEFINISCONO IL FENOMENO PER QUELLO CHE È.
Che nell'ambito della comunicazione il contesto sia importante, anzi ineliminabile, e peraltro noto a tutti dalla COMUNE ESPERIENZA DELLA LETTURA: OGNI LETTERA È INSERITA IN UNA SILLABA, OGNI SILLABA IN UNA PAROLA, OGNI PAROLA IN UNA FRASE, E COSÌ VIA; e ciascun elemento riceve il proprio significato da tutti i contesti più ampi, cioè dagli elementi di livello superiore di cui è parte. Come si vede, in genere ESISTONO PIÙ CONTESTI, DI AMPIEZZA DIVERSA, CONTENUTI L'UNO NELL'ALTRO. Inoltre si osservi che se LA PAROLA RICEVE IL SUO SIGNIFICATO DALLA FRASE, LA FRASE A SUA VOLTA LO RICEVE DALLE PAROLE CHE LA COMPONGONO: LA NOZIONE DI SIGNIFICATO CONTESTUALE NON È LINEARE O UNIDIREZIONALE, BENSÌ CIRCOLARE(3).

2. Linearità e complessità
LA SCOPERTA DI QUESTA CIRCOLARITÀ È DI ENORME IMPORTANZA, perché storicamente la prima impressione che l'uomo ha avuto nei confronti del mondo è che esso funzioni in base a CATENE CAUSALI LINEARI, che hanno origine in un certo punto (spesso ARBITRARIO, o meglio scelto in base a finalità pratiche) e finiscono chissà dove nella vastità dei fenomeni. Per contro, LA DESCRIZIONE O SPIEGAZIONE CONTESTUALE, imperniata sul concetto d'INFORMAZIONE, si basa su CIRCOLI O ANELLI DI RETROAZIONE (O FEEDBACK).
BATESON CONSIDERÒ SEMPRE MOLTO IMPORTANTE LA NOZIONE DI RETROAZIONE, che aveva dapprima intuito nel suo lavoro iniziale di antropologo senza riuscire a formularla chiaramente" (4), e che poi aveva incontrato nel suo ambito di scoperta ufficiale, l'ingegneria dei sistemi e delle regolazioni. In seguito, con grande perspicuità, la vide all'opera in molti contesti comunicativi (sociali, psicologici, psicopatologici, culturali, politici, ecologici), e nei grandi fenomeni dell'evoluzione e dell'apprendimento, fenomeni che potremmo chiamare grandi tautologie e che sono appunto contraddistinti dalla presenza di anelli o di circuiti di retroazione ancora più complicati.
Certo, PENSARE CHE IL MONDO SIA LINEARE E MOLTO COMODO. Questa APPARENTE LINEARITÀ, CHE LA FISICA MATEMATICA HA EREDITATO DAL SENSO COMUNE e che fino a ieri ha tentato di erigere a modello esplicativo generale, NELLA NUOVA EPISTEMOLOGIA VIENE SOSTITUITA DALLA CIRCOLARITÀ, una strutturazione molto più complicata, che NON SI LASCIA FACILMENTE RIDURRE E CHE ANZI COSTITUISCE UNO DEGLI INGREDIENTI ESSENZIALI DELLA COMPLESSITÀ. Dopo la scoperta della circolarità, o della retroazione o più in generale della complessità, NON POSSIAMO PIÙ PERMETTERCI DI SEMPLIFICARE LA REALTÀ. DOBBIAMO RASSEGNARCI A VIVERE IN UN MONDO COMPLESSO, anche a costo di rinunciare a quegli splendidi risultati che la fisica classica ha conseguito grazie alla linearizzazione (5).
LA SPIEGAZIONE CIBERNETICA evita amputazioni riduttive e resezioni atomistiche di questo tipo, ma AFFRONTANDO I PROBLEMI IN TUTTA LA LORO COMPLESSITÀ NON GARANTISCE AFFATTO DI POTERLI RISOLVERE. Poiché LA MATEMATICA CHE ABBIAMO COSTRUITO FINORA È ADATTA AI PROBLEMI LINEARI, MA NON A QUELLI CIRCOLARI E PIÙ COMPLESSI, la vera questione è; SAREMO IN GRADO DI COSTRUIRE UNA MATEMATICA NUOVA, CHE POSSA DESCRIVERE LA COMPLESSITÀ e che allo stesso tempo sia trattabile con gli strumenti che possediamo? Questa domanda per il momento non ha risposta.
D'altra parte LA SEMPLIFICAZIONE È UN'OPERAZIONE DEL TUTTO NATURALE E SPONTANEA, che HA PROBABILMENTE UN FORTE VALORE DI SOPRAVVIVENZA. DI FRONTE ALLA COMPLESSITÀ DISARMANTE E ALLARMANTE DEL MONDO, NON SOLO LO SCIENZIATO MA TUTTI GLI ESSERI UMANI NE TENTANO UNA SEMPLIFICAZIONE, ANZI UNA RICOSTRUZIONE. CHE COSA FANNO L'ARTISTA, IL RITRATTISTA, IL COMPOSITORE, IL NARRATORE, LO SCIENZIATO, IL TECNICO SE NON TENTARE DI RICOSTRUIRE IL MONDO SECONDO REGOLE E PROCEDIMENTI DIVERSI MA TUTTI ESSENZIALMENTE VOLTI A FORNIRNE UN MODELLO PIÙ SEMPLICE NEL QUALE SCOPRIRE LA "VERITÀ" O ADDIRITTURA VIVERE MEGLIO?
IN UN MONDO TROPPO COMPLESSO NON ABBIAMO PARAMETRI E LEGGI CHE CI AIUTINO A PRENDERE DECISIONI COMPATIBILI CON LA NOSTRA SOPRAVVIVENZA, QUINDI DOBBIAMO SEMPLIFICARE IL MONDO "DATO", SOSTITUENDOGLI UN MODELLO, UN'IMMAGINE. Anche LA PERCEZIONE, che potrebbe sembrare un RISPECCHIAMENTO PASSIVO DEL MONDO NEI SENSI E NELLA MENTE, È AL CONTRARIO BASATA SU UN'ELABORAZIONE RAFFINATISSIMA, di cui NON SIAMO CONSAPEVOLI e di cui scorgiamo le tracce solo in casi particolari, ad esempio quando SIAMO SOGGETTI ALLE COSIDDETTE ILLUSIONI OTTICHE.
Resta la domanda PERCHÉ L'UOMO TENDA IN PRIMA ISTANZA A DARE DEL MONDO UNA RAPPRESENTAZIONE LINEARE. Io azzardo una risposta che può sembrare BIZZARRA, ma che comunque mette conto esaminare: ritengo che questa propensione sia basata sulla circostanza, contingente ma inoppugnabile, che ABBIAMO UNA SOLA BOCCA E QUINDI SIAMO COSTRETTI A PARLARE IN MODO SEQUENZIALE. QUESTA LIMITAZIONE FISIOLOGICA, peraltro, HA EVIDENTI VANTAGGI DI UNITARIETÀ NELLE TRANSAZIONI COMUNICATIVE CON GLI ALTRI, CHE GIÀ CON UNA SOLA BOCCA SONO SPESSO GRAVIDE DI INCOMPRENSIONI ED EQUIVOCI: SE CIASCUNO AVESSE PIÙ BOCCHE, GLI EQUIVOCI E LE CONTRADDIZIONI RISCHIEREBBERO DI AUMENTARE A DISMISURA E DI PARALIZZARE LA COMUNICAZIONE.
Di recente i neurofisiologi hanno cominciato a informarci che L'ATTIVITÀ DEL CERVELLO SI SVOLGE IN MODO PARALLELO E NON SEQUENZIALE: È COME SE IL CERVELLO AVESSE MOLTE BOCCHE CHE PARLANO TUTTE INSIEME. Il cervello, sembra, produce il pensiero mediante il funzionamento simultaneo di molti moduli o unità di elaborazione (per usare la metafora ormai trita dell'ELABORAZIONE DI INFORMAZIONE). Il massiccio parallelismo del cervello compensa la lentezza e la scarsa precisione dei suoi componenti elementari, i NEURONI, PICCOLE UNITÀ PIUTTOSTO GOFFE E IMPRECISE CHE PERÒ COLLABORANO VOLONTEROSAMENTE TRA LORO; proprio grazie a questo MODO DI OPERARE SIMULTANEO, il cervello compie egregiamente il proprio lavoro e fornisce prestazioni affatto eccezionali. Del RESTO IL NUMERO ENORME (CENTO MILIARDI) DI NEURONI E IL NUMERO ANCORA PIÙ ELEVATO DI SINAPSI NON SAREBBERO COMPATIBILI CON UN FUNZIONAMENTO SEQUENZIALE.
MA QUANDO VOGLIAMO ESPRIMERE CON LA BOCCA I RISULTATI DELLE ELABORAZIONI CEREBRALI, CIOÈ VOGLIAMO COMUNICARLI A NOI STESSI O AGLI ALTRI, SIAMO OBBLIGATI A LINEARIZZARE, PERCHÉ TUTTO DEVE PASSARE PER LO STRETTO IMBUTO DEL LINGUAGGIO MONODIMENSIONALE.
“Si confuse di nuovo. Non riusciva a capire se quel piroscafo sfarzoso fosse Eva Farkas oppure sua moglie Giuliana, o soltanto una metafora piatta e scontata, che non emanava più nessuna luce. C'era nelle parole che pronunciava una forza greve e terrestre, indipendente da lui e legata alla sintassi, per cui, dopo il primo avvio il suo pensiero e la sua volontà non contavano più niente e TUTTI QUEI SUONI ROTOLAVANO A VALLE PER CANALONI TRACCIATI DA ANTICHI GHIACCIAI, CON UN FRASTUONO IRRIMEDIABILE. LE PAROLE NON SI LASCIAVANO DIRE, LO PORTAVANO SEMPRE DOVE VOLEVANO LORO. E POI, RIFLETTÉ, ABBIAMO UNA SOLA BOCCA E LE COSE DOBBIAMO DIRLE UNA DOPO L'ALTRA, INVECE LÀ DIETRO I PENSIERI CORRONO INSIEME COME DEBOLI FIAMMELLE BLUASTRE PER I NEURONI, LE SINAPSI A MILIARDI, E SI AFFOLLANO PER ESSERE DETTI TUTTI IN UNA VOLTA. Emergono le loro schiere da un cratere oscuro, a sciami, angeli o demoni, e IN QUEL LORO FATICOSO BRULICHIO STA LA FORZA NATIVA DELLE COSE, FORSE LA VERITÀ. MA PER ESSERE DETTI DEBBONO INFILARSI IN QUELLO STRETTO PERTUGIO, E ALLORA PERDONO VIGORE, DIMENSIONE, PERDONO I COMPAGNI DI VIAGGIO, RESTANO NUDI E PARLANO D'ALTRO. LE COSE NON BISOGNEREBBE MAI DIRLE, PERCHÉ VIEN FUORI ALTRO E SI CREANO EQUIVOCI SPAVENTOSI. Con la bocca possiamo dire infinito, e quella sorta di mareggiata interiore di piccole onde rifratte l’una contro l'altra il cui asintotico pullulare sembra dirigersi verso il bordo dell'abisso SI MANIFESTA NELLA FORMA SORPRENDENTE E QUASI MESCHINA DI UN SUONO DI QUATTRO SILLABE, dove non è rimasto niente dell'increspata vertigine sottostante. Così IL CONFUSO BALBETTIO DELLE PAROLE CI ALLONTANA DEFINITIVAMENTE DAL VOLTO BALUGINANTE, APPENA VISTO E DILEGUATO, DEL PENSIERO. Un vasto pianoro innevato che porti i lunghi segni di sciatori scomparsi... La gerarchia di Ackermann...
-G.O. Longo - La gerarchia di Ackermann, cap. IV




Bellissime riflessioni attraversando... il Kintsugi. Purtroppo il pensiero lineare dei sillogismi in Barbara di aristotelica memoria ha gessato la mente facendoci dimenticare che esistono anche quelli meravigliosi in erba, di cui parla Bateson, della metafora , del sogno, della poesia, del mito che ci aiutano a riappacificarci con la vita



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