giovedì 30 ottobre 2014

L'horror prima dell'horror, dieci quadri da paura. La prima immagine che vi proponiamo non è quella di un quadro, ma di unaminiatura del XV secolo tratta da un manoscritto della Historia di Guglielmo di Tiro e rappresenta la morte di Rinaldo di Chatillon. La bellezza della miniatura è pari alla truculenza della storia che racconta. Nemico numero uno dell’Islam ai tempi delle crociate, fu il peggiore degli incubi per i mussulmani caduti nelle sue mani. Era bello, forte e coraggioso, ma anche arrogante, temerario, crudele, insofferente ad ogni autorità e soprattutto molto ambizioso. Usò la sua avvenenza per sedurre donne di potere, la sua astuzia per affrontare avversari come i più grandi capi carismatici dell’Islam, Nur ed Din eSalah ed Din, la sua intelligenza per studiare il pensiero islamico in modo da essere perfettamente preparato contro il nemico. L’arroganza gli fu fatale: cercò di trafugare la salma del Profeta Maometto per esigere una tassa ad ogni fedele islamico che volesse visitarla. La sua missione fallì, venne catturato e, al cospetto di Salah ed Din, ebbe un atteggiamento talmente sfrontato che indusse il sultano a colpirlo con la scimitarra, tra la spalla e il collo, che infine diede l'ordine di decapitarlo. La testa fu trascinata per tutti i suoi territori ed esposta a Damasco.

L'horror prima dell'horror, dieci quadri da paura


Halloween è alle porte e se è vero che per molti è solo una festività scimmiottata dall’America (che peraltro a sua volta l’ha ereditata dall’Europa) è altrettanto vero che può offrire stimoli per intraprendere percorsi alternativi nell’infinito universo della storia dell’arte. Abbiamo creato una speciale galleria dei quadri più macabri e spaventosi che ci hanno emozionato, spaventato e affascinato, ve la proponiamo qui di seguito:

In realtà la prima immagine che vi proponiamo non è quella di un quadro, ma di unaminiatura del XV secolo tratta da un manoscritto della Historia di Guglielmo di Tiro e rappresenta la morte di Rinaldo di Chatillon. La bellezza della miniatura è pari alla truculenza della storia che racconta. Nemico numero uno dell’Islam ai tempi delle crociate, fu il peggiore degli incubi per i mussulmani caduti nelle sue mani. Era bello, forte e coraggioso, ma anche arrogante, temerario, crudele, insofferente ad ogni autorità e soprattutto molto ambizioso. Usò la sua avvenenza per sedurre donne di potere,  la sua astuzia per affrontare avversari come i più grandi capi carismatici dell’Islam, Nur ed Din eSalah ed Din, la sua intelligenza per studiare il pensiero islamico in modo da essere perfettamente preparato contro il nemico. L’arroganza gli fu fatale: cercò di trafugare la salma del Profeta Maometto per esigere una tassa ad ogni fedele islamico che volesse visitarla. La sua missione fallì, venne catturato e, al cospetto di Salah ed Din, ebbe un atteggiamento talmente sfrontato che indusse il sultano a colpirlo con la scimitarra,  tra la spalla e il collo, che infine diede l'ordine di decapitarlo. La  testa fu trascinata per tutti i suoi territori ed esposta a Damasco.

Questa scena terrificante è un particolare del l'Inferno, un affresco del 1410 di Giovanni da Modena che si può ammirare nella Basilica di San Petronio a Bologna. Si trova nella cappella Bolognini e rappresenta in assoluto uno dei complessi pittorici più importanti che siano sopravvissuti dell'età tardogotica.


Il Trionfo della Morte è un affresco staccato (600x642 cm) conservato nella Galleria regionale di Palazzo Abatellis a Palermo. Oltre ad essere uno dei migliori dipinti su questo tema, è l'opera più rappresentativa della stagione "internazionale" in Sicilia, culminata durante i regni di Ferdinando I (1412) e di Alfonso d'Aragona (che nel 1416 fece di Palermo la sua base per la conquista del Regno di Napoli). Non si conosce il nome dell'autore (indicato come un generico Maestro del Trionfo della Morte) e viene datato al 1446 circa. Il tema del trionfo della Morte si era già diffuso nel Trecento, ma qui viene rappresentato con una particolare insistenza ossessiva sui temi macabri e grotteschi di crudele espressività, una caratteristica rara in Italia che ha fatto pensare alla mano di un maestro transalpino. Tra i nomi proposti c'è quello del borgognone Guillaume Spicre.
Molte opere  di Hieronymus Bosch  sono estremamente inquietanti. Questo è un particolare de Il Giardino delle delizie, un trittico a olio su tavola, databile 1480-1490 circa e conservato nel Museo del Prado di Madrid. Le tre scene del trittico aperto sono probabilmente da analizzare in ordine cronologico da sinistra verso destra, per quanto non vi sia la certezza di questa letturaIl pannello di sinistra rappresenta Dio quale perno dell'incontro tra Adamo ed Eva; quello centrale è una vasta veduta fantastica di figure nude, animali immaginari, frutti di grandi dimensioni e formazioni rocciose; quello di destra, a cui appartiene il particolare che vi proponiamo, è invece una visione dell'Inferno e rappresenta i tormenti della dannazioneSullo sfondo si vede una città assediata, mentre in primo piano un mondo dominato dalle tenebre si rivela preda di demoni ed altre strane creature intente a tormentare e torturare gli esseri umani, spesso a causa dei loro vizi (sono identificabili una superba, un avaro, un goloso e dei lascivi) e spesso tramite strumenti musicali. L’opera è oggi conservata al Museo del Prado di Madrid.
Un altro Trionfo della morte. Questo è uno dei capolavori di Pieter Bruegel il Vecchio, capostipite di una famiglia di celebri e importanti pittori fiamminghi. Conservato al Prado è ispirato all'omonimo affresco che Bruegel aveva visto a Palermo a cui però si aggiunge il tema della danza macabra, nato in nord Europa per esorcizzare la paura delle epidemie. Nella sua opera, datata 1562, è raffigurata una città devastata dall’arrivo dell’armata della morte, composta da scheletri con falce che mietono vittime tra la popolazione di tutti gli strati sociali, in maniera fantasiosamente macabra.
Non ha bisogno di grandi spiegazioni l'opera di Caravaggio, Giuditta e Oloferne, realizzata nel 1599 e conservato nella Galleria nazionale di arte antica di Roma. Il dipinto fu commissionato dal banchiere Ottavio Costa, che lo raccomandò caldamente ai suoi eredi nel suo testamento. In questo quadro Caravaggio rappresenta l'episodio biblico della decapitazione del condottiero assiro Oloferne da parte della vedova ebrea Giuditta, che voleva salvare il proprio popolo dalla dominazione straniera. Giuditta è raffigurata intenta a decapitare Oloferne con una scimitarra, mentre alla scena assiste una vecchia serva che sorregge con le mani il drappo contenente il cesto nel quale va conservata la testa. Si dice che Caravaggio abbia dipinto il quadro pensando alla storia di Beatrice Cenci, che, insieme alla matrigna e al fratello, uccisero il padre, dopo averlo addormentato con l'oppio.

L'artista francese Jean-Louis André Théodore Géricault nel suo Teste di giustiziati studiò i cadaveri e le teste mozzate dei giustiziati per la realizzazione della sua famosa Zattera della Medusa (1818). Fortemente influenzati dal luminismo di Caravaggio e dalla monumentalità dei corpi di Michelangelo, i lavori di Gericault si concentrano sulla
rappresentazione di temi sociali scomodi, trasfigurati attraverso il medium della mitologia o ritratti in tutta la loro crudezza realistica. Gli studi fisiognomici sull'espressione dei malati mentali e quelli anatomici sulle teste mozzate dei condannati a morte offrono allo spettatore immagini di una sconcertante modernità. Il pittore si procurava i "modelli" grazie all'amicizia  di infermieri e medici dell'ospedale di Bicetre, che gli fornivano tali resti macabri.
Saturno che divora i suoi figli è un dipinto del pittore spagnolo Francisco Goya, realizzato negli anni tra il 1819 e il 1823, conservato nel museo del Prado a Madrid. Rappresenta un tema mitologico: il dio Saturno (romano, o Crono presso i Greci), essendogli stato profetizzato che uno dei suoi figli lo avrebbe soppiantato, era solito divorarli al momento stesso della loro nascita. L'opera fa parte della serie detta delle "Pitture nere", serie di tredici dipinti realizzati da Goya sulle pareti della propria casa ("Quinta del Sordo", o "Villa del sordo"), a Manzanares, presso Madrid, dove abitò negli anni tra il 1819 e il 1823. È realizzata con pittura a olio su intonaco. 
Volto della guerra, dipinto da Salvador Dalì tra il 1940 e il 1941, è la rappresentazione dell'angoscia generata dal conflitto che imperversava in Europa. Dipinto quando l'artista era già al sicuro negli Stati Uniti trasmette tutta l'angoscia e la paura  dell'autore. Nel dipinto, in primo piano, su un paesaggio desertico, vuoto fino all'orizzonte, è rappresentata la maschera della morte; la sole presenze vive sono i vermi-rettili che fuoriescono minacciosi, ma che non trovano nulla su cui avventarsi. Le orbite e la bocca sono occupati da teschi, i quali contengono altri teschi, che ci lasciano intuire che quella che vediamo sia solo una delle infinite facce della guerra. I colori predominanti sono il giallo e il marrone. In basso a destra della tela c'è l' impronta della mano di Dalì. La prospettiva angosciosa della figura, indica la moltiplicazione all' infinito del male totale causato dalla guerra, portatrice di morte e distruzione. Nel 1941 Dalì sviluppò lo stesso soggetto durante l' ideazione di alcune sequenze di incubo nel film "Moontide", ma le scene inventate furono rifiutate dai tecnici per gli accessori orribili che avrebbero richiesto.

Francis Bacon, pittore irlandese morto nel 1992, è riuscito però in varie sue opere a mettere insieme il nuovo angosciato senso dell’esistenza a una rappresentazione che fa emergere ancora, anche se in forma diversa, il senso del macabro e dell’orrore: il suo quadro in questo senso più rappresentativo è forse lo Studio del ritratto di Innocenzo X, una riproposizione con modifiche di un celebre quadro di Diego Velázquez di tre secoli prima. Mentre il ritratto originale celebrava la potenza del romano Giovanni Battista Pamphilj, anche fautore del giubileo del 1650 e della sistemazione di Piazza Navona, la versione di Bacon (conservata a Des Moines, in Iowa) mostra un papa lugubre e urlante, perfino grottesco, in cui al rosso papale si sostituiscono il viola e il nero.

http://www.caffeinamagazine.it/2014-10-20-12-41-28/il-quadro/4231-l-horror-prima-dell-horror-dieci-quadri-da-paura

martedì 28 ottobre 2014

Shamdasani: “L’individuo è una porta. A mio parere non è semplicemente questione di risolvere le nevrosi individuali, la sofferenza individuale, ma di affrontare gli aspetti nei quali la sofferenza individuale si interseca, aderisce, ha un legame diretto con i problemi collettivi.”



«Shamdasani:
“L’individuo è una porta. A mio parere non è semplicemente questione di risolvere le nevrosi individuali, la sofferenza individuale, ma di affrontare gli aspetti nei quali la sofferenza individuale si interseca, aderisce, ha un legame diretto con i problemi collettivi.”

James Hillman:
“E il più grandi tutti i problemi collettivi, come si diceva, è la soppressione dei morti. Non udire le voci della storia. Non udire ciò che abbiamo perduto. E la paura dei morti, la paura della morte tipica della nostra cultura.”

Shamdasani:
E’ il tema del Libro Rosso: “Per vederci chiaro ci è necessario il rigore della morte” (Jung).»

(tratto da “Il lamento dei morti – La psicologia dopo il Libro Rosso di Jung”, di Sonu Shamdasani e James Hillman)

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"I morti non sono assenti,
sono esseri invisibili."
(Sant'Agostino)






venerdì 24 ottobre 2014

Edward Hall. La Dimensione Nascosta. Comunicazione non verbale: 4 distanze prossemiche. In pochi conoscono la prossemica come disciplina che studia la struttura inconscia dei microspazi che intercorrono fra gli uomini, ma in molti sanno bene che la distanza interpersonale che separa persone e ambiente è fondamentale per sentirsi a proprio agio. Non ti mette forse a disagio uno sconosciuto che ti parla standoti troppo vicino? Probabilmente sì, perché invade il tuo microspazio personale. Chiarito il concetto di spazio prossemico o zona prossemica, è importante scoprire le 4 distanze prossemiche individuate da Edward Hall, maestro di questa disciplina e che pubblicò nel 1966 “La Dimensione Nascosta” a tutt’oggi reputato la Bibbia della prossemica. 4 distanze prossemiche


Comunicazione non verbale: 4 distanze prossemiche....
In pochi conoscono la prossemica come disciplina che studia la struttura inconscia dei microspazi che intercorrono fra gli uomini, ma in molti sanno bene che la distanza interpersonale che separa persone e ambiente è fondamentale per sentirsi a proprio agio. Non ti mette forse a disagio uno sconosciuto che ti parla standoti troppo vicino? Probabilmente sì, perché invade il tuo microspazio personale.
Chiarito il concetto di spazio prossemico o zona prossemica, è importante scoprire le 4 distanze prossemiche individuate da Edward Hall, maestro di questa disciplina e che pubblicò nel 1966 “La Dimensione Nascosta” a tutt’oggi reputato la Bibbia della prossemica.

4 distanze prossemiche.
Le distanze prossemiche che ora andremo a descrivere definiscono le zone prossemiche nelle quali ognuno di noi si sente a proprio agio a seconda dei contesti nei quali ci troviamo e dalle persone che vi entrano.
La prima di cui parliamo è la distanza intima che abbatte le distanze fra simili: parte da 0 centimetri e arriva fino ai 45. Si tratta appunto di quella distanza che gestisce i rapporti intimi che non di rado non disdegnano il contatto fisico. E’ una distanza comunemente nota fra madre e figlio, ma anche fra partner: il contatto fisico in questi casi non crea né soggezione, né fastidio. Questo genere di distanza consente di percepire l’odore dell’altro, il calore ed è possibile addirittura percepirne le emozioni. In linea di massima gli sguardi diretti sono poco frequenti e il tono della voce si fa nettamente più basso.

La distanza personale vede due interlocutori lontani dai 45 ai 70-100 centimetri. Normalmente consentiamo una vicinanza di questo genere ad amici o a persone per le quali proviamo attrazione. Chi interagisce ad una distanza personale infatti può toccarsi e scambiarsi sguardi con una certa frequenza eppure l’odore non è facilmente percepibile.

La distanza sociale prevede invece una lontananza fra individui che si aggira fra i 120 ed i 200 centimetri. Regola rapporti formali e normalmente è la distanza richiesta quando si interagisce con impiegati negli uffici, con dipendenti e colleghi.

Infine la distanza pubblica impone una distanza che va oltre i 2 metri. A queste distanze ci si percepisce come elementi facenti parte dell’ambiente, per quanto l’attenzione viene richiamata e diventa eccitazione quando la persona che si intravede a distanza è un personaggio pubblico o famoso.

È bene ricordare che quando si eliminano le distanze fra interlocutori anche il comportamento cambia notevolmente: se si sta a breve distanza la voce si fa più bassa, gli sguardi diretti diminuiscono e le gesticolazioni lasciano spazio al contatto fisico.

Chi è importante si fa distante.
Ad incrementare la sfera prossemica ci pensa normalmente lo status dell’individuo: non solo la zona intesa come personale aumenta all’aumentare della posizione sociale o lavorativa, ma non di rado, dirigenti o membri dell’esercito graduati commettono il grave errore di non rispettare, consciamente o inconsciamente le distanze intime dei propri dipendenti e subordinati creando in questi un ovvio senso di disagio.

Caldo vicino, freddo distante.
Altri elementi in grado di influenzare in positivo o negativo la distanza prossemica sono quelli etnici, di cui abbiamo già parlato in precedenza: nelle popolazioni calde del mondo le distanze prossemiche comunemente accettate sono nettamente inferiori rispetto a quelle valide per i paesi freddi del mondo. Basti pensare che gli inglesi, i rappresentanti più noti della cultura del non contatto, mantengono una distanza media di due metri con gli interlocutori.

Emozioni, storia personale e sesso
Le distanze prossemiche possono inoltre essere influenzate dallo stato d’animo momentaneo di un individuo (quando siamo nervosi ad esempio, tolleriamo meno la violazione del nostro spazio), ma anche dalla propria storia personale (chi ha subito violenze è particolarmente sensibile all’invadenza del proprio spazio prossemico). Il sesso è un altro componente capace di influenzare le distanze prossemiche: le donne in linea di massima gradiscono maggiormente, se messe a confronto con gli uomini, un avvicinamento frontale, non apprezzando invece gli avvicinamenti laterali.

L’importanza del contesto
Se ci fai caso è anche l’ambiente circostante a dettare legge in fatto di distanze: se ti trovi in un quartiere malfamato, è probabile che reputerai tutte le persone aggressive e pericolose, non apprezzandone l’avvicinamento. Scientificamente è dimostrato che lo spazio prossemico aumenta a dismisura quando abbiamo a che fare con un carcerato o con un individuo che reputiamo violento.

Ricorda che…
Si tratta di concetti che devi tener bene a mente, specie se hai a che fare spesso con estranei e stranieri per questioni lavorative: invadere lo spazio prossemico di un cliente o di un dipendente può creare una sensazione di disagio capace di limitare la positività dell’incontro o la produttività del collega.

Non entrare nello spazio altrui
Il seguente video è stato realizzato dalla compagnia aerea KLM e mostra una serie di “esperimenti divertenti” realizzati in aeroporto, per evidenziare quanto sia importante per ognuno il proprio spazio personale e come il violarlo porti al disagio immediato. Naturalmente la compagnia aerea crea un associazione tra le poltrone della propria business class e il confort che si ha quando gli sconosciuti sono ad una certa distanza dal nostro spazio prossemico.
Guarda il video, oltre che interessante è divertente.






domenica 19 ottobre 2014

venerdì 17 ottobre 2014

Istituto Tavistock. Se si distrugge il senso di identità reale di una persona, la si potrà manipolare come un bambino. Attaccando l'identità sovrana di un membro di un gruppo, questa persona consegnerà la sua sovranità al gruppo e potrà essere influenzata a lottare per gli obiettivi predeterminati.


"Se si distrugge il senso di identità reale di una persona, la si potrà manipolare come un bambino. Attaccando l'identità sovrana di un membro di un gruppo, questa persona consegnerà la sua sovranità al gruppo e potrà essere influenzata a lottare per gli obiettivi predeterminati."
Daniel Estulin, L'Istituto Tavistock


"Il miglior ipnotizzatore è una scatola rettangolare collocata in un angolo della stanza, che dice alla gente in che cosa deve credere; può darsi che ancora non lo sappiate, ma ogni volta che accendete questa bambinaia con un solo occhio, si tenta di formare e plasmare la vostra mente. La televisione ha assunto il ruolo di genitore surrogato, si è trasformata in moralizzatore: ha iniziato a dire alla gente che cosa deve o non deve fare. Ha fornito il mezzo ideale per creare una cultura omogenea, una cultura di massa, tramite la quale è possibile manipolare e controllare le persone e portarle a pensare tutte alla stessa maniera. Sogniamo come in tv, parliamo come in tv, ci vestiamo e agiamo come in tv. La televisione provoca nella gente una sospensione del senso critico, perchè la combinazione di immagini e suoni la situa in uno stato onirico, che limita la capacità cognitiva. Ha un effetto dissociativo sulle capacità mentali e fa si che la gente sia meno in grado di pensare razionalmente. Gli spettatori, abituandosi a sei ore o più di tv al giorno, cedono la capacità di ragionare alle immagini e ai suoni che escono dal televisore. La televisione non si occupa della "verità", ma della creazione di una "realtà". L'obiettivo dei "lava-cervelli" è rendere ogni generazione più infantile, più animale, più amorale e quindi più facilmente controllabile. Il successo della pubblicità moderna, è il riflesso di una cultura che ha preferito l'illusione alla realtà."
Daniel Estulin, L'Istituto Tavistock



"Quante persone capiscono che la percezione della maggioranza, soprattutto sul terreno della politica, è una cosa non spontanea, bensì accortamente manipolata e imposta loro dagli "uomini dietro il sipario"? La maggioranza delle persone non lo sa e certamente ciò è anche una conseguenza del lavaggio dei cervelli. La maggioranza degli americani e degli europei si informa su ciò che succede nel mondo attraverso la televisione controllata dallo Stato, con l'idea erronea che i giornalisti abbiano la missione di servire il pubblico. In realtà i giornalisti non servono il pubblico; i giornalisti sono dei salariati che servono i proprietari dei mass-media, le cui azioni sono quotate a Wall Street. Tutti i notiziari del mondo occidentale seguono lo stesso modello linguistico: verbi semplici, molti nomi e ben poche frasi lunghe. Frasi brevi, vocabolario semplice; in altri termini: frasi a effetto. Non viene stimolato alcun pensiero creativo; si cerca non di impegnare la mente, ma di imprimere un'immagine nel cervello di una persona. Considerato come vengono date le notizie, possiamo dire di riuscire, almeno talvolta, a riflettere attentamente su qualcuna di esse? Evidentemente no. Al contrario, vediamo la parte informativa e ci limitiamo ad assorbire l'informazione nella forma in cui ci viene presentata."
Daniel Estulin, L'Istituto Tavistock



"Ritengo che il nostro inconscio personale, come l’inconscio collettivo, sia formato da un numero indefinito, perché sconosciuto, di complessi o personalità parziali. Questa idea spiega parecchie cose. Spiega per esempio il semplice fatto che un poeta abbia la capacità di drammatizzare e personificare i suoi contenuti psichici. Quando crea un personaggio sul palcoscenico, in una poesia, in un dramma o in un romanzo, crede che si tratti semplicemente di un prodotto della sua immaginazione, mentre, per qualche via misteriosa,quel personaggio si è creato da solo. Ogni romanziere o scrittore negherà che i suoi personaggi abbiano un significato psicologico, ma in realtà voi sapete bene che ce l’hanno.
Perciò, studiando i personaggi che crea, si può leggere nella mente di uno scrittore."
Carl Gustav Jung,  Terza Conferenza alla Tavistock Clinic di Londra


"Quando ho in analisi un individuo, devo stare estremamente attento a non travolgerlo con le mie convinzioni o con la mia personalità, poiché egli deve combattere la sua battaglia solitaria nella vita e deve poter aver fiducia nelle proprie armi, siano anche rozze e incomplete e nella sua meta, anche se fosse molto lontana dalla perfezione. Se gli dico “questo non va bene e bisognerebbe migliorare”, lo privo del suo coraggio. Deve arare il suo campo con un aratro che forse non è del tutto adeguato; il mio potrebbe essere migliore del suo, ma a che gli servirebbe? Lui non ha il mio aratro, ce l’ho io, e non può chiedermelo in prestito. Deve usare i propri utensili, per quanto incompleti, e deve lavorare con le capacità che ha ereditato, per quanto carenti".
C. G. Jung, Quarta conferenza alla Tavistock Clinic



"La pazzia è un concetto assai relativo. Se per esempio un negro si comporta in un certo modo allora diciamo “non è altro che un negro”; se invece un bianco si comporta allo stesso modo diciamo: “quell’uomo è pazzo” perché un bianco non può agire in quel modo … “Essere pazzi” è una figura sociale; noi usiamo restrizioni e definizioni sociali per determinare i disturbi mentali e psichici. Di un uomo si può dire ch’èstrano che agisce in modo diverso da quanto ci si aspetti e che ha idee singolari; se vivesse in una cittadina della Francia o della Svizzera forse si direbbe: “E’ un originale, uno dei più originali di questo piccolo paese”. Se invece mettete quest’uomo nel bel mezzo di Harley Street subito non si tratterà che di un povero pazzo … Ma tutte queste sono semplicemente delle considerazioni sociali. La stessa cosa si può osservare nei manicomi che crescono in modo mostruoso non perché le malattie mentali aumentino di numero in senso assoluto ma perché non siamo più in grado di tollerare individui anormali cosicchè sembra quasi che ci siano molti più pazzi di prima"
Carl Gustav Jung, brano tratto da Psicologia Analitica: le conferenze alla Clinica Tavistock






lunedì 13 ottobre 2014

Amos Oz. Anch'io ho una verità assoluta. Sono convinto che sia sempre un male infliggere dolore a qualcuno. Se dovessi sintetizzare tutti e dieci i comandamenti in un unico comandamento, in assoluto direi: non infliggere dolore a nessuno. Questo è il punto fermo della filosofia della mia vita. Il resto è relativo.

"Nessun uomo è un'isola, dice John Donne in questa meravigliosa frase cui oso aggiungere:
nessun uomo e nessuna donna è un'isola, siamo invece tutti penisole, per metà attaccate alla terraferma e per metà di fronte all'oceano, per metà legati alla famiglia e agli amici e alla cultura e alla tradizione e ala pese e alla nazione e al se sso e alla lingue e a molte altre cose. Mentre l'altra metà chiede di essere lasciata sola, di fronte all'oceano. Credo che ci si debba lasciare il diritto di restare penisole. Ogni sistema sociale e politico che trasforma noi in un'isola darwiniana e il resto del mondo in un nemico o un rivale, è un mostro. Ma al tempo stesso ogni sistema sociale, politico e ideologico che ambisce a fare di ognuno di noi null'altro che una molecola di terraferma, non è meno aberrante. La condizione di penisola è quella congeniale al genere umano".
Amos Oz


«C'era come la sensazione che mentre gli uomini vanno e vengono, nascono e muoiono, i libri invece godono di eternità. Quand'ero piccolo, da grande volevo diventare un libro. Non uno scrittore, un libro: perché le persone le si può uccidere come formiche. Anche uno scrittore, non è difficile ucciderlo. Mentre un libro, quand'anche lo si distrugga con metodo, è probabile che un esemplare comunque si salvi e preservi la sua vita di scaffale, una vita eterna, muta, su un ripiano dimenticato in qualche sperduta biblioteca a Reykjavik, Valladolid, Vancouver.»
Amos Oz, Una storia di amore e di tenebra, traduzione di E. Loewenthal, Feltrinelli, 2003


Anch'io ho una verità assoluta. Sono convinto che sia sempre un male infliggere dolore a qualcuno. 
Se dovessi sintetizzare tutti e dieci i comandamenti in un unico comandamento, in assoluto direi: non infliggere dolore a nessuno. Questo è il punto fermo della filosofia della mia vita. Il resto è relativo. 
Amos Oz



Ritengo che l'essenza del fanatismo stia nel desiderio di costringere gli altri a cambiare. Quell'inclinazione comune a rendere migliore il tuo vicino, educare il tuo coniuge, programmare tuo figlio, raddrizzare il fratello, piuttosto che lasciarli vivere.
Amos Oz





L’unico viaggio da cui non si torna mai a mani vuote è quello dentro noi stessi. Dentro non ci sono confini né dazi, si può arrivare fino alle stelle più remote. O visitare posti che non ci sono più, andare a trovare persone scomparse. Persino entrare in luoghi che non sono mai esistiti, e forse non potrebbero esistere, ma lì sto bene. O almeno, non male. E tu?
Amos Oz, Una storia di amore e di tenebra


Quand'ero piccolo, da grande volevo diventare un libro. Non uno scrittore, un libro: perché le persone le si può uccidere come formiche. Anche uno scrittore, non è difficile ucciderlo. Mentre un libro, quand'anche lo si distrugga con metodo, è probabile che un esemplare comunque si salvi e preservi la sua vita di scaffale, una vita eterna, muta, su un ripiano dimenticato in qualche sperduta biblioteca a Reykjavik, Valladolid, Vancouver.
Amos Oz, Una storia di amore e di tenebra


… le persone, quasi tutte, prima o poi finisce che ti abbandonano, quando arriva il giorno in cui non ricavano da te più nessun profitto o piacere o interesse o quanto meno un buon sentimento, mentre i libri, loro non ti abbandonano mai.
Amos Oz



Un pover’uomo per morire deve adempiere a un sacco di formalità, come se stesse partendo per un viaggio all’estero.
Amos Oz, Michael mio


sabato 11 ottobre 2014

Alan Watts. Io e te siamo continui con l'universo fisico così come un'onda è continua con l'oceano.


Io e te siamo continui con l'universo fisico così come un'onda è continua con l'oceano.
Alan Watts


Non possiamo trovare un metodo per conoscere Dio più di quanto non possiamo trovarne uno per costruire Dio, poiché la conoscenza di Dio è Dio stesso che abita nella nostra anima. Il massimo che possiamo fare è prepararci al suo ingresso, sgombrargli la strada, rimuovere le barriere, poiché finché Dio stesso non agisce dentro di noi, non c’è nulla di positivo che possiamo fare in questa direzione… non vi è altro modo di possedere Dio che lasciarsene possedere. Il misticismo è un’azione al passivo. Per centinaia di anni l’uomo occidentale si è convinto che poteva risolvere definitivamente ognuno dei suoi problemi “facendo” qualcosa. È un benefico esercizio di umiltà per lui porsi davanti a un problema di fronte al quale non può fare assolutamente nulla. Eppure il problema deve essere risolto.
Alan Watts, Il Dio visibile



Teoria delle finestre rotte. Un vetro rotto in un'auto abbandonata trasmette un senso di deterioramento, di disinteresse, di non curanza, sensazioni di rottura dei codici di convivenza, di assenza di norme, di regole, che tutto è inutile. Ogni nuovo attacco subito dall'auto ribadisce e moltiplicare quell'idea, fino all'escalation di atti, sempre peggiori, incontrollabili, col risultato finale di una violenza irrazionale. In esperimenti successivi James q. Wilson e George Kelling hanno sviluppato la teoria delle finestre rotte, con la stessa conclusione da un punto di vista criminologico, che la criminalità è più alta nelle aree dove l'incuria, la sporcizia, il disordine e l'abuso sono più alti. Se si rompe un vetro in una finestra di un edificio e non viene riparato, saranno presto rotti tutti gli altri. Se una comunità presenta segni di deterioramento e questo è qualcosa che sembra non interessare a nessuno, allora lì si genererà la criminalità. Se sono tollerati piccoli reati come parcheggio in luogo vietato, superamento del limite di velocità o passare col semaforo rosso, se questi piccoli “difetti” o errori non sono puniti, si svilupperanno “difetti maggiori” e poi i crimini più gravi.



Se si rompe un vetro in una finestra di un edificio e non viene riparato, saranno presto rotti tutti gli altri. Se una comunità presenta segni di deterioramento e questo è qualcosa che sembra non interessare a nessuno, allora lì si genererà la criminalità. Se sono tollerati piccoli reati come parcheggio in luogo vietato, superamento del limite di velocità o passare col semaforo rosso, se questi piccoli “difetti” o errori non sono puniti, si svilupperanno “difetti maggiori” e poi i crimini più gravi.



LA TEORIA DELLE FINESTRE ROTTE
"Teoria delle finestre rotte”

Nel 1969, presso l'Università di Stanford (USA), il professor Philip Zimbardo ha condotto un esperimento di psicologia sociale. Lasciò due auto abbandonata in strada, due automobili identiche, la stessa marca, modello e colore. Una l’ ha lasciata nel Bronx, quindi una zona povera e conflittuale di New York ; l'altra a Palo Alto, una zona ricca e tranquilla della California. Due identiche auto abbandonate, due quartieri con popolazioni molto diverse e un team di specialisti in psicologia sociale, a studiare il comportamento delle persone in ciascun sito.

Si è scoperto che l'automobile abbandonata nel Bronx ha cominciato ad essere smantellata in poche ore. Ha perso le ruote, il motore, specchi, la radio, ecc. Tutti i materiali che potevano essere utilizzati sono stati presi, e quelli non utilizzabili sono stati distrutti. Dall’altra parte, l'automobile abbandonata a Palo Alto, è rimasta intatta.

È comune attribuire le cause del crimine alla povertà. Attribuzione nella quale si trovano d’accordo le ideologie più conservatrici (destra e sinistra). Tuttavia, l'esperimento in questione non finì lì: quando la vettura abbandonata nel Bronx fu demolita e quella a Palo Alto dopo una settimana era ancora illesa, i ricercatori decisero di rompere un vetro della vettura a Palo Alto, California. Il risultato fu che scoppiò lo stesso processo, come nel Bronx di New York: furto, violenza e vandalismo ridussero il veicolo nello stesso stato come era accaduto nel Bronx.

Perchè il vetro rotto in una macchina abbandonata in un quartiere presumibilmente sicuro è in grado di provocare un processo criminale?

Non è la povertà, ovviamente ma qualcosa che ha a che fare con la psicologia, col comportamento umano e con le relazioni sociali.

Un vetro rotto in un'auto abbandonata trasmette un senso di deterioramento, di disinteresse, di non curanza, sensazioni di rottura dei codici di convivenza, di assenza di norme, di regole, che tutto è inutile. Ogni nuovo attacco subito dall'auto ribadisce e moltiplicare quell'idea, fino all'escalation di atti, sempre peggiori, incontrollabili, col risultato finale di una violenza irrazionale.

In esperimenti successivi James q. Wilson e George Kelling hanno sviluppato la teoria delle finestre rotte, con la stessa conclusione da un punto di vista criminologico, che la criminalità è più alta nelle aree dove l'incuria, la sporcizia, il disordine e l'abuso sono più alti.

Se si rompe un vetro in una finestra di un edificio e non viene riparato, saranno presto rotti tutti gli altri. Se una comunità presenta segni di deterioramento e questo è qualcosa che sembra non interessare  a nessuno, allora lì si genererà la criminalità. Se sono tollerati piccoli reati come parcheggio in luogo vietato, superamento del limite di velocità o passare col semaforo rosso, se questi piccoli “difetti” o errori non sono puniti, si svilupperanno “difetti maggiori” e poi i crimini più gravi.

Se parchi e altri spazi pubblici sono gradualmente danneggiati e nessuno interviene, questi luoghi saranno abbandonati dalla maggior parte delle persone (che smettono di uscire dalle loro case per paura di bande) e questi stessi spazi lasciati dalla comunità, saranno progressivamente occupato dai criminali.

Gli studiosi hanno risposto in una forma più forte ancora, dichiarando che l’incuria ed il disordine accrescono molti mali sociali e contribuiscono a far degenerare l'ambiente.

A casa, tanto per fare un esempio, se il capofamiglia lascia degradare progressivamente la  sua casa, come la mancanza di tinteggiature alle pareti che stanno in pessime condizioni, cattive abitudini di pulizia, proliferazioni di cattive abitudine alimentari, utilizzo di parolacce, mancanza di rispetto tra i membri della famiglia, ecc, ecc, ecc. poi, anche gradualmente,  cadranno anche la qualità dei rapporti interpersonali tra i membri della famiglia ed inizieranno a crearsi cattivi rapporti con la società in generale. Forse alcuni, perfino un giorno, entreranno in carcere.

Questa teoria delle finestre rotte può essere un'ipotesi valida a comprendere la degradazione della società e la mancanza di attaccamento ai valori universali, la mancanza di rispetto per l'altro e alle autorità (estorsione e le tangenti) , la degenerazione della società e la corruzioni  a tutti i livelli. La mancanza di istruzione e di formazione della cultura sociale, la mancanza di opportunità, generano un paese con finestre rotte, con tante finestre rotte e nessuno sembra disposto a ripararle.

La “teoria delle finestre rotte” è stata applicata per la prima volta alla metà degli anni ottanta nella metropolitana di New York City, che era divenuto il punto più pericoloso della città. Si cominciò combattendo le piccole trasgressioni: graffiti che deterioravano il posto, lo sporco dalle stazioni, ubriachezza tra il pubblico, evasione del pagamento del biglietto, piccoli furti e disturbi. I risultati sono stati evidenti: a partire della correzione delle piccole trasgressioni si è riusciti a fare della Metro un luogo sicuro.

Successivamente, nel 1994, Rudolph Giuliani, sindaco di New York, basandosi sulla teoria delle finestre rotte e l'esperienza della metropolitana, ha promosso una politica di tolleranza zero. La strategia era quella di creare comunità pulite ed ordinate, non permettendo violazioni alle leggi e agli standard della convivenza sociale e civile. Il risultato pratico è stato un enorme abbattimento di tutti i tassi di criminalità a New York City.

La frase “tolleranza zero” suona come una sorta di soluzione autoritaria e repressiva, ma il concetto principale è più prevenzione e promozione di condizioni sociali di sicurezza. Non è questione di  violenza ai trasgressori, né manifestazione di arroganza da parte della polizia. Infatti, anche in materia di abuso di autorità, dovrebbe valere la tolleranza zero. Non è tolleranza zero nei confronti della persona che commette il reato, ma è tolleranza zero di fronte al reato stesso. L’idea è di creare delle comunità pulite, ordinate, rispettose della legge e delle regole che sono alla base della convivenza  umana in modo civile e socialmente accettabile.

È bene di tornare a leggere questa teoria e di diffonderla .

La soluzione a questo problema io non c’è l’ho, caro lettore, ma io ho iniziato a riparare le finestre della mia casa, sto cercando di migliorare le abitudini alimentari della mia famiglia, ho chiesto a tutti i membri della famiglia di evitare di dire parolacce, sopratutto davanti ai nostri figli, inoltre abbiamo deciso di non mentire, di evitare persino le piccole bugie, perché non c'è nessuna piccole bugie,la bugia non è grande o piccola, UNA BUGIA è UNA BUGIA E BASTA

Abbiamo concordato di accettare le conseguenze delle nostre azioni con coraggio e responsabilità, ma soprattutto per dare una buona dose di educazione ai nostri figli.

Con questo ho la speranza di cominciare a cambiare in qualcosa che prima sbagliavo. Il mio sogno è che i miei ripetano tutto questo in modo che un domani i figli dei miei figli o i loro nipoti possano vedere un nuovo mondo, UN MONDO SENZA FINESTRE ROTTE.

SE SEI D’ACCORDO CON LA TEORIA DELLE FINESTRE ROTTE, FAI SEMPLICEMENTE GIRARE QUESTA E-MAIL IN MODO CHE OGNI GIORNO SIANO DI PIU’ QUELLI CHE VOGLIONO DARE UNA MANO AL MIGLIORAMENTO DELLA NOSTRA SOCIETA’.

http://www.unitresorrentina.org/foto/24-forum/85-la-teoria-delle-finestre-rotte

Lewis. Diario di un dolore. Nessuno mi aveva mai detto che il dolore assomiglia tanto alla paura. Non che io abbia paura: la somiglianza è fisica. Gli stessi sobbalzi dello stomaco, la stessa irrequietezza, gli sbadigli. Inghiotto in continuazione. Altre volte è come un’ubriacatura leggera, o come quando si batte la testa e ci si sente rintronati. Tra me e il mondo c’è una sorta di coltre invisibile. Fatico a capire il senso di quello che mi dicono gli altri. O forse, fatico a trovare la voglia di capire. È così poco interessante. Però voglio avere gente intorno. Ho il terrore dei momenti in cui la casa è vuota. Ma vorrei che parlassero fra loro e non a me.

Nessuno mi aveva mai detto che il dolore assomiglia tanto alla paura. Non che io abbia paura: 
la somiglianza è fisica. Gli stessi sobbalzi dello stomaco, la stessa irrequietezza, gli sbadigli. Inghiotto in continuazione.
Altre volte è come un’ubriacatura leggera, o come quando si batte la testa e ci si sente rintronati. 
Tra me e il mondo c’è una sorta di coltre invisibile. Fatico a capire il senso di quello che mi dicono gli altri. O forse, fatico a trovare la voglia di capire. È così poco interessante. Però voglio avere gente intorno. Ho il terrore dei momenti in cui la casa è vuota. Ma vorrei che parlassero fra loro e non a me.
Clive Staples Lewis, "Diario di un dolore "



giovedì 9 ottobre 2014

Voltaire. Bestie. “Che vergogna, che miseria aver detto che le bestie sono macchine prive di conoscenza e di sentimento, che fanno sempre le loro operazioni allo stesso modo, che non imparano nulla, non perfezionano nulla, ecc.! Come! Quell’uccello che fa il suo nido a semicerchio quando lo attacca a un muro, che lo costruisce a quarto di cerchio quando è in un angolo, e a cerchio su un albero; quell’uccello fa tutto allo stesso modo? Quel cane da caccia che hai addestrato per tre mesi, dopo questo tempo non ne sa forse più di quanto non sapesse prima delle tue lezioni? Il canarino al quale insegni un’aria la ripete forse all’istante? non impieghi un tempo considerevole a insegnargliela? non ti sei accorto che si sbaglia e si corregge? Forse perché ti parlo, giudichi che io abbia sentimento, memoria, idee? Bene! Non ti parlo; mi vedi entrare in casa con aria afflitta, cercare ansiosamente una carta, aprire lo scrittoio aprire lo scrittoio dove mi ricordo d’averla rinchiusa, trovarla, leggerla con gioia. Giudichi che io abbia provato il sentimento dell’afflizione e quello del piacere, che ho memoria e conoscenza. Applica allora il medesimo giudizio a quel cane che ha perduto il suo padrone, l’ha cercato per tutte le strade con guaiti dolorosi, torna a casa, agitato, inquieto, sale, scende, va di camera in camera, trova finalmente nello studio il padrone che ama, gli testimonia la sua gioia con la dolcezza dei suoi guaiti, con i suoi salti, le sue carezze. Dei barbari afferrano questo cane, che supera tanto l’uomo in amicizia: lo inchiodano su una tavola, e lo sezionano vivo per mostrarti le vene meseraiche. In lui scopri tutti quegli stessi organi sensori che sono in te. Rispondimi, meccanicista, la natura ha forse sistemato tutte le molle del sentimento in quest’animale perché non senta? ha dei nervi per essere impassibile? Non supporre tale impertinente contraddizione nella natura. Ma i maestri della scuola domandano che cosa sia l’anima delle bestie. Non capisco questa domanda. Un albero ha la facoltà di ricevere nelle sue fibre la linfa che circola, di dispiegare i boccioli delle sue foglie e dei suoi frutti; mi chiedereste che cosa sia l’anima di questo albero? Esso ha ricevuto questi doni; l’animale quelli del sentimento, della memoria, di un certo numero di idee. Chi ha fatto tutti questi doni? Colui che fa crescere l’erba nei campi, e fa gravitare la terra intorno al sole. «Le anime delle bestie sono forme sostanziali», ha detto Aristotele; e dopo Aristotele, la scuola araba; e dopo la scuola araba, la scuola angelica; la Sorbona; e dopo la Sorbona, nessun altro al mondo. «Le anime delle bestie sono materiali», gridano altri filosofi. Questi ultimi non hanno avuto maggior fortuna degli altri. Invano si è chiesto loro che cosa sia un’anima materiale; devono convenire che è una materia dotata di sensazione: ma chi le ha dato questa sensazione? È un’anima materiale, ossia materia che dà sensazione a materia; da questo circolo vizioso non escono. Ascoltate altre bestie ragionare sulle bestie; la loro anima è un essere spirituale che muore con il corpo: ma che prova ne avete? che idea avete di questo essere spirituale che, a quanto pare, ha sentimento, memoria, una quota di idee e di combinazioni, ma che non potrà mai sapere quel che sa un bambino di sei anni? Con quale fondamento immaginate che questo essere, che non è corpo, muore con il corpo? Le bestie più grosse sono quelli che hanno asserito che quest’anima non è né corpo né spirito. Ecco un bel sistema. Per spirito non possiamo intendere altro che qualcosa di sconosciuto che non è corpo: così il sistema di questi signori si riduce a questo, che l’anima delle bestie è una sostanza che non è né corpo, né qualcosa che non è corpo. Da che cosa possono originarsi tanti errori contraddittori? Dall’abitudine che hanno sempre avuto gli uomini di esaminare qualcosa prima ancora di sapere se esista. Si chiama anima del soffietto la linguetta, la valvola del soffietto. Che cos’è quest’anima? È un nome che ho dato a quella valvola che si abbassa, lascia entrare l’aria, si rialza, e la spinge attraverso un tubo, allorché faccio muovere il soffietto. Non c’è in questo caso un’anima distinta dalla macchina. Ma chi fa muovere il soffietto degli animali? Ve l’ho già detto, colui che fa muovere gli astri. Il filosofo ha detto: ‹Deus est anima brutorum›, aveva ragione; ma doveva spingersi oltre.”


Voltaire. Bestie.
Che vergogna, che miseria aver detto che le bestie sono macchine prive di conoscenza e di sentimento, che fanno sempre le loro operazioni allo stesso modo, che non imparano nulla, non perfezionano nulla, ecc.!
Come! Quell’uccello che fa il suo nido a semicerchio quando lo attacca a un muro, che lo costruisce a quarto di cerchio quando è in un angolo, e a cerchio su un albero; quell’uccello fa tutto allo stesso modo? 
Quel cane da caccia che hai addestrato per tre mesi, dopo questo tempo non ne sa forse più di quanto non sapesse prima delle tue lezioni? Il canarino al quale insegni un’aria la ripete forse all’istante? non impieghi un tempo considerevole a insegnargliela? non ti sei accorto che si sbaglia e si corregge?
Forse perché ti parlo, giudichi che io abbia sentimento, memoria, idee? Bene! Non ti parlo; mi vedi entrare in casa con aria afflitta, cercare ansiosamente una carta, aprire lo scrittoio aprire lo scrittoio dove mi ricordo d’averla rinchiusa, trovarla, leggerla con gioia. Giudichi che io abbia provato il sentimento dell’afflizione e quello del piacere, che ho memoria e conoscenza.
Applica allora il medesimo giudizio a quel cane che ha perduto il suo padrone, l’ha cercato per tutte le strade con guaiti dolorosi, torna a casa, agitato, inquieto, sale, scende, va di camera in camera, trova finalmente nello studio il padrone che ama, gli testimonia la sua gioia con la dolcezza dei suoi guaiti, con i suoi salti, le sue carezze. 
Dei barbari afferrano questo cane, che supera tanto l’uomo in amicizia: lo inchiodano su una tavola, e lo sezionano vivo per mostrarti le vene meseraiche. In lui scopri tutti quegli stessi organi sensori che sono in te. Rispondimi, meccanicista, la natura ha forse sistemato tutte le molle del sentimento in quest’animale perché non senta? ha dei nervi per essere impassibile? Non supporre tale impertinente contraddizione nella natura.
Ma i maestri della scuola domandano che cosa sia l’anima delle bestie. Non capisco questa domanda. Un albero ha la facoltà di ricevere nelle sue fibre la linfa che circola, di dispiegare i boccioli delle sue foglie e dei suoi frutti; mi chiedereste che cosa sia l’anima di questo albero? Esso ha ricevuto questi doni; l’animale quelli del sentimento, della memoria, di un certo numero di idee. Chi ha fatto tutti questi doni? Colui che fa crescere l’erba nei campi, e fa gravitare la terra intorno al sole.
«Le anime delle bestie sono forme sostanziali», ha detto Aristotele; e dopo Aristotele, la scuola araba; e dopo la scuola araba, la scuola angelica; la Sorbona; e dopo la Sorbona, nessun altro al mondo.
«Le anime delle bestie sono materiali», gridano altri filosofi. Questi ultimi non hanno avuto maggior fortuna degli altri. Invano si è chiesto loro che cosa sia un’anima materiale; devono convenire che è una materia dotata di sensazione: ma chi le ha dato questa sensazione? È un’anima materiale, ossia materia che dà sensazione a materia; da questo circolo vizioso non escono.
Ascoltate altre bestie ragionare sulle bestie; la loro anima è un essere spirituale che muore con il corpo: ma che prova ne avete? che idea avete di questo essere spirituale che, a quanto pare, ha sentimento, memoria, una quota di idee e di combinazioni, ma che non potrà mai sapere quel che sa un bambino di sei anni? Con quale fondamento immaginate che questo essere, che non è corpo, muore con il corpo? Le bestie più grosse sono quelli che hanno asserito che quest’anima non è né corpo né spirito. Ecco un bel sistema. Per spirito non possiamo intendere altro che qualcosa di sconosciuto che non è corpo: così il sistema di questi signori si riduce a questo, che l’anima delle bestie è una sostanza che non è né corpo, né qualcosa che non è corpo.
Da che cosa possono originarsi tanti errori contraddittori? Dall’abitudine che hanno sempre avuto gli uomini di esaminare qualcosa prima ancora di sapere se esista. Si chiama anima del soffietto la linguetta, la valvola del soffietto. Che cos’è quest’anima? È un nome che ho dato a quella valvola che si abbassa, lascia entrare l’aria, si rialza, e la spinge attraverso un tubo, allorché faccio muovere il soffietto.
Non c’è in questo caso un’anima distinta dalla macchina. Ma chi fa muovere il soffietto degli animali? Ve l’ho già detto, colui che fa muovere gli astri. Il filosofo ha detto: ‹Deus est anima brutorum›, aveva ragione; ma doveva spingersi oltre.”

(FRANÇOIS-MARIE AROUET) VOLTAIRE (1694 – 1778), “Dizionario filosofico” (1764), ed. integrale condotta sul testo critico stabilito da Raymond Naves, introd. di Angelo G. Sabatini, trad. di Maurizio Grasso, Newton Compton, Roma 2010 (III ed., I ed. 1991), «Bestie», pp. 47 – 49.
“ Quelle pitié, quelle pauvreté, d’avoir dit que les bêtes sont des machines, privées de connaissance et de sentiment, qui font toujours leurs opérations de la même manière, qui n’apprennent rien, ne perfectionnent rien, etc.!
Quoi! cet oiseau qui fait son nid en demi cercle quand il l’attache à un mur, qui le bâtit en quart de cercle quand il est dans un angle, et en cercle sur arbre; cet oiseau fait tout de la même façon? Ce chien de chasse que tu as discipliné pendant trois mois, n’en sait-il pas plus au bout de ce temps, qu’il en savait avant les leçons? Le serin à qui tu apprends un air, le répète-t-il dans l’instant? N’emploies-tu pas un temps considérable à l’enseigner? N’as-tu pas vu qu’il se méprend et qu’il se corrige?
Est-ce parce que je te parle, que tu juges que j’ai du sentiment, de la mémoire, des idées? Eh bien, je ne te parle pas; tu me vois entrer chez toi l’air affligé, chercher un papier avec inquiétude, ouvrir le bureau où je me souviens de l’avoir enfermé, le trouver, le lire avec joie. Tu juges que j’ai éprouvé le sentiment de l’affliction et celui du plaisir, que j’ai de la mémoire et de la connaissance.
Porte donc le même jugement sur ce chien qui a perdu son maître, qui l’a cherché dans tous les chemins avec des cris douloureux, qui entre dans la maison agité, inquiet, qui descend, qui monte, qui va de chambre en chambre, qui trouve enfin dans son cabinet le maître qu’il aime, et qui lui témoigne sa joie par la douceur de ses cris, par ses sauts, par ses caresses.
Des barbares saisissent ce chien, qui l'emporte si prodigieusement sur l’homme en amitié; ils le clouent sur une table, et ils le dissèquent vivant pour te montrer les veines mésaraïques. Tu découvres dans lui tous les mêmes organes de sentiment qui sont dans toi. Réponds-moi, machiniste; la nature a-t-elle arrangé tous les ressorts du sentiment dans cet animal, afin qu’il ne sente pas? A-t-il des nerfs pour être impassible? Ne suppose point cette impertinente contradiction dans la nature.
Mais les maîtres de l’école demandent ce que c’est que l'âme des bêtes? Je n’entends pas cette question. Un arbre a la faculté de recevoir dans ses fibres sa sève qui circule, de déployer les boutons de ses feuilles et de ses fruits; me demanderez-vous ce que c’est que l'âme de cet arbre? Il a reçu ces dons; l’animal a reçu ceux du sentiment, de la mémoire, d’un certain nombre d’idées. Qui a fait tous ces dons? Qui a donné toutes ces facultés? Celui qui fait croître l’herbe des champs, et qui fait graviter la terre vers le soleil.
«Les âmes des bêtes sont des formes substantielles», a dit Aristote, et après Aristote l’école arabe, et après l’école arabe, l’école angélique, et après l’école angélique la Sorbonne, et après la Sorbonne personne au monde.
«Les âmes des bêtes sont matérielles», crient d‘autres philosophes. Ceux-là n’ont pas fait plus de fortune que les autres. On leur a en vain demandé ce que c’est qu’une âme matérielle; il faut qu’ils conviennent que c’est de la matière qui a sensation ; mais qui lui a donné cette sensation? C’est une âme matérielle, c’est-à-dire que c’est de la matière qui donne de la sensation à de la matière, ils ne sortent pas de ce cercle.
Écoutez d’autres bêtes raisonnant sur les bêtes; leur âme est un être spirituel qui meurt avec le corps: mais quelle preuve en avez vous? Quelle idée avez-vous de cet être spirituel, qui, à la vérité, a du sentiment, de la mémoire, et sa mesure d’idées et de combinaisons, mais qui ne pourra jamais savoir ce que sait un enfant de six ans. Sur quel fondement imaginez-vous que cet être qui n’est pas corps périt avec le corps ? Les plus grandes bêtes sont ceux qui ont avancé que cette âme n’est ni corps ni esprit. Voilà un beau système. Nous ne pouvons entendre par esprit que quelque chose d’inconnu qui n'est pas corps. Ainsi le système de ces messieurs, revient à ceci, que l’âme des bêtes est une substance qui n’est ni corps ni quelque chose qui n’est point corps.
D’où peuvent procéder tant d’erreurs contradictoires? de l’habitude où les hommes ont toujours été d’examiner ce qu’est une chose, avant de savoir si elle existe. On appelle la languette, la soupape d’un soufflet, l’âme du soufflet. Qu’est-ce que cette âme ? C’est un nom que j’ai donné à cette soupape qui baisse, laisse entrer l’air, se relève, et le pousse par un tuyau, quand je fais mouvoir le soufflet.
Il n’y a point là une âme distincte de la machine. Mais qui fait mouvoir le soufflet des animaux? Je vous l’ai déjà dit, celui qui fait mouvoir les astres. Le philosophe qui a dit: ‹Deus est anima brutorum›, avait raison: mais il devait aller plus loin.”
VOLTAIRE, [anonimo] “Dictionnaire philosophique, portatif”, [s.n.], Londres [Genève] MDCCLXIV (I éd), «Bêtes» pp. 40 – 42.





mercoledì 1 ottobre 2014

Frances Yates, Giordano Bruno e la tradizione ermetica. Perché l’amore è chiamato mago? Si chiede Marsilio Ficino nel commento al Simposio. “Perché tutta forza della magia risiede nell’amore...dall’amore nasce il convergere insieme fra le cose e in ciò consiste la vera magia”…la “mens” neoplatonica viene identificata da Ficino e Pico con la “mente angelica”.


Perché l’amore è chiamato mago? Si chiede Marsilio Ficino nel commento al Simposio. “Perché tutta forza della magia risiede nell’amore...dall’amore nasce il convergere insieme fra le cose e in ciò consiste la vera magia”…la “mens” neoplatonica viene identificata da Ficino e Pico con la “mente angelica”.
Frances Yates, Giordano Bruno e la tradizione ermetica

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