giovedì 30 aprile 2015

Arte dell'ascoltare. Le sette regole dell'arte di ascoltare.

Arte dell'ascoltare




sabato 25 aprile 2015

Storia e curiosità su Pi greco La magia del Pi greco dalle origini ai giorni nostri.


Il Pi greco permea la nostra esistenza, ben oltre i problemi di geometria a scuola, dove è conosciuto come il rapporto fra la circonferenza e il diametro del cerchio (o l'area di un cerchio di raggio uguale a 1).
Dall'elettromagnetismo alla meccanica quantistica, il Pi greco investe molti settori. Ad esempio ha a che fare con il Principio di Indeterminazione di Heisenberg, entra in campo nel periodo di oscillazione del pendolo (che è proporzionale al nostro numero irrazionale), così come nella forza di Coulomb tra due oggetti carichi elettricamente.

Ma la storia del Pi greco ha circa 4mila anni.

Furono i Babilonesi, grandi matematici e architetti, i primi a impiegarlo, interpretandolo come 3,125.


Poi vennero gli Egizi. In un papiro egizio del XVII sec. a. C. era approssimato a 3,1605.|
BRITISH MUSEUM


 I Greci usavano poligoni tangenti internamente ed esternamente a un cerchio, ovvero rispettivamente inscritti e circoscritti (vedi grafico sopra). La lunghezza di una circonferenza e infatti necessariamente compresa fra un limite superiore e uno inferiore, rappresentati rispettivamente dal perimetro del poligono esterno, leggermente maggiore, e quello interno, di poco minore. Quanti più lati ha un poligono, tanto più precisa e la sua approssimazione al cerchio, e di conseguenza tanto maggiore e la precisione con cui si può ricavare il numero che lega la circonferenza al suo diametro. Archimede di Siracusa (287- 212 a.C.) usò poligoni con 96 lati. La sua conclusione fu che il numero del cerchio doveva essere più piccolo di 3+(1/7) ma più grande di 3+(10/71). Rappresentare con un numero decimale il valore intermedio tra i due non era ancora alla portata dei Greci, ma il risultato sarebbe stato 3,1419. Ha tre cifre corrette dopo la virgola, e si discosta solo dell’1% dal valore di oggi.| 
FOCUS

Nei secoli successivi i miglioramenti nell’approssimazione non furono particolarmente significativi. Un grande balzo riuscì a due astronomi cinesi del V secolo, Tsu Chung Chi e suo figlio Tsu Keng Chi, i quali trovarono come valore approssimato di Pi greco la frazione 355/113, da cui si ottiene il risultato arrotondato 3,1415929. Tramite poligoni con oltre 20mila lati giunsero a una valutazione di π che si discosta solo di una parte su un miliardo dal valore corretto: un record destinato a rimanere insuperato per quasi mille anni.

A partire dal XVI secolo anche molti matematici europei moltiplicarono i propri sforzi per meglio approssimare il Pi greco. Ludolph van Ceulen (1539-1610, nella foto) vi dedico 30 anni della sua vita. Calcolo il perimetro di poligoni con ben 4,6 miliardi di miliardi di lati e in tal modo riuscì a determinare 35 cifre decimali di π.

 Il record di calcolo manuale fu pero stabilito nel 1946 da un tal D. F. Ferguson, che arrivò a 620 cifre decimali. Poi arrivarono i computer.

Ma perché tanto accanimento per un calcolo del genere? 
«La matematica e il modo perfetto per prendersi in giro» ha detto Albert Einstein, il grande bastian contrario, il cui anniversario della nascita ricorre il 14 marzo (come i fan del Pi greco non mancano di ricordare). 
Dieci cifre di π dopo la virgola sono già sufficienti a determinare il raggio terrestre con la precisione di un millimetro.

 Il record mondiale (non ufficiale) della “disciplina” di ricordare a memoria e declamare a voce alta i numeri decimali del Pi greco è stato raggiunto al giapponese Akira Haraguchi, nella foto, che ha recitato 100mila cifre in 16 ore.


Il numero π è ciò che i matematici chiamano “normale”? Si può dire, cioè, che la successione dei suoi decimali sia completamente casuale, oppure da qualche parte fra i miliardi di cifre si nascondono imprevedibili regolarità? Al 762° decimale compare per esempio la sequenza 999999. Come si può escludere che sia un frammento di distribuzione regolare di cifre fino a ora inosservata?
Sommando le prime 20 cifre dopo la virgola si ottiene come risultato 100. Sommando le prime 144 si ottiene 666, ma 144 e il quadrato di 12, ovvero (6+6)×(6+6).

 L’altezza di un elefante dal suolo alla spalla si può determinare moltiplicando per 2π il diametro di una sua zampa.

http://www.focus.it/scienza/scienze/storia-e-curiosita-su-pi-greco?gimg=58361&gpath=#img58361





venerdì 24 aprile 2015

Vilfredo Pareto. La teoria di Aristotele sulla schiavitù naturale è pure quella dei popoli civili moderni per giustificare le loro conquiste ed il loro dominio sui popoli da essi detti di razza inferiore. [...] Da ciò segue che un inglese, un tedesco, un francese, un belga, un italiano, se pugna e muore per la sua patria, è un eroe; ma un africano, se ardisce difendere la sua patria contro queste nazioni, è un vile ribelle ed un traditore. [...] Occorre aggiungere che, con ipocrisia veramente ammirevole, i buoni popoli civili pretendono di fare il bene dei popoli a loro soggetti, quando li opprimono e anche li distruggono. [...] Il gatto chiappa il sorcio e se lo mangia, ma non dice che fa ciò pel bene del sorcio, non proclama il domma dell'uguaglianza di tutti gli animali e non alza ipocritamente gli occhi al cielo per adorare il Padre comune.

La teoria di Aristotele sulla schiavitù naturale è pure quella dei popoli civili moderni per giustificare le loro conquiste ed il loro dominio sui popoli da essi detti di razza inferiore. [...]
Da ciò segue che un inglese, un tedesco, un francese, un belga, un italiano, se pugna e muore per la sua patria, è un eroe; ma un africano, se ardisce difendere la sua patria contro queste nazioni, è un vile ribelle ed un traditore. [...] Occorre aggiungere che, con ipocrisia veramente ammirevole, i buoni popoli civili pretendono di fare il bene dei popoli a loro soggetti, quando li opprimono e anche li distruggono. [...] Il gatto chiappa il sorcio e se lo mangia, ma non dice che fa ciò pel bene del sorcio, non proclama il domma dell'uguaglianza di tutti gli animali e non alza ipocritamente gli occhi al cielo per adorare il Padre comune.
Vilfredo Pareto, da Trattato di sociologia generale: Capitolo VI - I residui, par. 1050


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LA STORIA E' UN CIMITERO DI ARISTOCRAZIE

"Le aristocrazie non durano.
Qualunque ne siano le ragioni, è incontrastabile che dopo un certo tempo spariscono.
La Storia è un cimitero di aristocrazie.
Non è solo per il numero che certe aristocrazie decadono, ma anche per la qualità, nel senso che in esse scema l'energia. La classe governante viene restaurata non solo in numero, ma, ed è ciò che più preme, in qualità dalle famiglie che vengono dalle classi inferiori, che recano in essa l'energia necessaria per mantenersi al potere.
Ove uno di questi movimenti cessi e, peggio ancora, se cessano entrambi, la parte governante si avvia verso la rovina, che spesso trae seco quella dell'intera nazione. E' causa potente di turbamento dell'equilibrio l'accumularsi di elementi superiori nelle classi inferiori e, viceversa, di elementi inferiori nelle classi superiori.
Per via della circolazione delle classi elette, la classe eletta di governo è in uno stato di continua e lenta trasformazione, essa scorre come un fiume e questa d'oggi è diversa da quella di ieri. Ogni tanto si osservano repentini e violenti turbamenti come sarebbero le inondazioni di un fiume e, dopo, la nuova classe eletta di governo torna a modificarsi lentamente: il fiume, tornato nel suo letto, scorre di nuovo regolare.
Le rivoluzioni seguono perché, sia per il rallentarsi della circolazione della classe eletta, sia per altra causa, si accumulano negli strati superiori elementi scadenti che rifuggono dall'uso della forza, mentre crescono negli strati inferiori gli elementi di qualità superiore che sono disposti ad adoperare la forza".

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V. PARETO, Trattato di sociologia generale, cit. in G. Galli, Storia delle dottrine politiche, Milano, Paravia Bruno Mondadori Editori, 2000, pp. 200-201.
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Per approfondire:
- S. Caputo: Vilfredo Pareto ✍️ http://bit.ly/caputopareto;
- P. Chiantera-Stutte: politica, classi sociali, élite ✍️ http://bit.ly/chianteraelite


Carlo De Luca
Riflessioni interessantissime che fanno riferimento, mi pare, alla “teoria delle élites”, intesa in senso ampio e comprensiva di orientamenti anche molto diversi che hanno però in comune l’assunzione di base: la tendenza intrinseca di ogni aggregato sociale a produrre una oligarchia. In qualunque collettivo umano, sono sempre emerse delle élites che sono riuscite ad accumulare una maggiore quantità di risorse la cui natura varia in rapporto al contesto (la ricchezza nelle società mercantili, il comando nei regimi militari, il potere politico nelle democrazie e nelle dittature, la cultura nelle organizzazioni più evolute). Molti i problemi di contenuti posti da questa definizione: dalla legittimità politica e sociale dell’élite alla sua effettiva corrispondenza con il merito, dalla sostanziale omogeneità alla sua multiforme pluralità, dal rapporto unidirezionale governanti/governati alla loro relazione osmotica. Dalle valutazioni su questi aspetti scaturiscono i diversi orientamenti che caratterizzano la teoria: dalle interpretazioni più reazionarie a quelle progressiste.


Il Sestante Grazie
Carlo per il commento molto puntuale.
Innanzitutto, la teoria classica delle élites ha avuto tre esponenti principali:
Gaetano Mosca, Vilfredo Pareto e Robert Michels, che l'hanno delineata su basi ideologiche (parzialmente) diverse.
Il primo e l'ultimo in un contesto latamente liberale, Pareto partendo dall'economia e giungendo alla sociologia attraverso la considerazione dell'irrazionalità delle scelte umane, insuscettibili di essere descritte dalle leggi economiche.

L'evoluzione della teoria nel corso del Novecento, poi, ha seguito direttrici così diverse e multiformi da non poter essere riassunta qui, se non con il rischio di farvi rientrare fenomeni che solo marginalmente ne attingono il succo della dottrina. Mi ha interessato, però, anche la parte del tuo commento in cui ti soffermi sulla natura delle élites. Lo stesso Pareto lo ha affrontato in un'altra sua opera "I sistemi socialisti", del 1902. Riporto qui brevemente un frammento che ho potuto leggere nell'opera di Giorgio Galli "Storia delle dottrine politiche":
"Le élites si manifestano in parecchi modi, secondo le condizioni della vita economica e sociale. 
La conquista della ricchezza, presso i popoli commercianti e industriali, il successo militare, presso i popoli bellicosi, l'abilità politica e spesso lo spirito d'intrigo e la bassezza di carattere, presso le aristocrazie, le democrazie e le demagogie, i successi letterari nel popolo cinese, la conquista di dignità ecclesiastiche nel Medioevo ecc., sono altrettanti modi coi quali si effettua la selezione degli uomini. Nulla si può comprendere se non si separa la sostanza dalla forma. La sostanza è il movimento di circolazione delle élites, la forma è quella che domina nella società dove il movimento ha luogo".




martedì 21 aprile 2015

Hikikomori 引きこもり letteralmente “stare in disparte, isolarsi.


Si chiama “hikikomori”. E’ considerato il più grande pericolo psico-sociale per la nostra specie.
Il primo campanello d’allarme ufficiale è suonato una decina di anni fa, nel 2006.
Anche se ne parlavano già alla fine degli anni’80.

E’ accaduto in Giappone, il paese al mondo che più di ogni altra nazione sul pianeta, segue le problematiche sociali della propria popolazioni con grande cura e attenzione e interviene sempre preventivamente.
Così la loro cultura e tradizione.

Le cifre parlano chiaro: in Giappone la disoccupazione è intorno all’1%, i poveri sono lo 0,3% della popolazione, gli indigenti lo 0,7%. Non hanno spese militari, hanno il più grande disavanzo pubblico del pianeta (equivalente a circa -235%) e sono la seconda potenza economica della Terra come produzione di ricchezza, pari al quintuplo di quella italiana;  il più alto tasso di longevità (87 anni per le femmine e 82 per i maschi) il più basso tasso di natalità -record che condivide con l’Italia- e il più alto tasso di suicidi, circa 3.500 all’anno.

Uno studio dell’istituto di sociologia dell’università di Tokyo, finanziato dalla fondazione studi sociali dell’imperatore, nel 2006 evidenziò e coniò il neologismo che oggi terrorizza il Giappone: “hikikomori”.
E’ una parola che agli italiani non dice nulla, ma molto presto, purtroppo, diventerà un termine familiare
Non soltanto è finito su wikipedia, ma una richiesta ufficiale del Giappone è arrivata prima all’Onu e poi come domanda formale all’Oms, perchè venga rubricata sotto la voce “potenziale piaga sociale che può annicchilire intere nazioni”.

Ecco come wikipedia declina il termine:
Hikikomori (引きこもり? letteralmente “stare in disparte, isolarsi”,[1] dalle parole hiku “tirare” e komoru “ritirarsi”[2]) è un termine giapponese usato per riferirsi a coloro che hanno scelto di ritirarsi dalla vita sociale, spesso cercando livelli estremi di isolamento e confinamento. Tali scelte sono causate da fattori personali e sociali di varia natura. Tra questi, la particolarità del contesto familiare in Giappone, caratterizzato dalla mancanza di una figura paterna e da un’eccessiva protettività materna, la grande pressione della società giapponese verso autorealizzazione e successo personale, cui l’individuo viene sottoposto fin dall’adolescenza. Il termine hikikomori si riferisce sia al fenomeno sociale in generale, sia a coloro che appartengono a questo gruppo sociale.

Il percorso terapeutico, che può durare da pochi mesi a diversi anni, consiste nel trattare la condizione come un disturbo mentale (con sedute di psicoterapia e assunzione di psicofarmaci) oppure come problema di socializzazione, stabilendo un contatto con i soggetti colpiti e cercando di migliorarne la capacità di interagire. Il fenomeno, già presente in Giappone dalla seconda metà degli anni ottanta, ha incominciato a diffondersi negli anni duemila anche negli Stati Uniti e in Europa

Dal 2009, in seguito all’uso massiccio di facebook e al dominio della comunicazione virtuale via web al posto di quella umana carnale nella vita reale, il fenomeno ha iniziato ad assumere chiari segnali di patologia sociale. In Giappone, il hikikomori, è aumentato dal 2009 al 2014 del 356%. E’ aumentato anche in Europa. Non esistono ancora dati ufficiali per quanto riguarda l’Italia, forse nessuno se ne occupa. Purtroppo, siamo in uno spaventoso ritardo culturale, sociale, imprenditoriale. Questo tipo di studi dovrebbe far parte al primo posto nella annuale legge di stabilità sotto la voce “ricerca e innovazione” come misura preventiva.

Secondo me, bisognerebbe cominciare a parlarne e ad alzare il livello dell’attenzione, prima che sia troppo tardi

Lo fa da tempo il più famoso romanziere giapponese, Murakami.
I suoi racconti, infatti, al di là dei paesaggi socio-onirici che lui crea, hanno tutti in comune un aspetto caratteristico: i giovani protagonisti, sia maschi che femmine, sono sempre soli, vivono da soli, se possono non escono di casa.
Sono, per l’appunto, vittime inconsapevoli del hikikomori.

Una decina di giorni fa, la giornalista Lidia Baratta, ha pubblicato sul quotidiano on-line linkiesta, un reportage proprio su questo tema, visto che in questi giorni sia l’Onu che l’Oms che l’Unicef se ne sta occupando con enorme preoccupazione
Ecco il suo pezzo e il link di riferimento:http://www.linkiesta.it/hikikomori-italia

Controllare il profilo Facebook in piena notte, rinunciare a un aperitivo per restare a chattare. Anche Internet, come l’alcol o la droga, può creare dipendenza. Le uscite fuori casa diminuiscono fino a sparire, le ore davanti a uno schermo aumentano. In Giappone, dove ne hanno contati più di un milione, gli adolescenti ritirati sociali che sostituiscono i rapporti diretti con quelli mediati da Internet si chiamano “hikikomori”. Da noi dati certi non ne esistono. Le ultime rilevazioni parlano di 240mila under 16, ma gli esperti dicono che anche in Italia gli autoreclusi dipendenti dalla Rete sono in continuo aumento.

La finestra di una chat è molto più sicura e controllabile di un bar in centro all’ora dell’aperitivo. Puoi decidere quando aprirla, selezionare cosa mostrare di te ed essere brillante al momento giusto, senza essere colto impreparato. La casa diventa un bunker dove creare il proprio spazio protetto. E il computer connesso è l’unica porta verso il mondo esterno per comunicare senza esporsi troppo.

«Stiamo registrando una crescita delle persone che si rivolgono a noi», spiega Valentina Di Liberto, sociologa e presidente dellaCooperativa Hikikomori di Milano. «Soprattutto perché c’è una maggiore consapevolezza delle dipendenze da Internet, in particolar modo da parte degli insegnanti».

L’autoreclusione parte dalla scuola, vissuta spesso come un allontanamento forzato dal mondo del Web. Suonata la campanella, non c’è altra attività che il ritiro in camera davanti a uno schermo. «Prima ci si ritira dalla scuola, poi dalla scena sociale», spiega Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta presidente della cooperativa sociale Minotauro, specializzata nei disturbi adolescenziali. Anche qui, negli ultimi anni, le cure di adolescenti ritirati sociali e dipendenti dalla Rete sono in continuo aumento. «Di solito l’abbandono scolastico avviene nel biennio delle superiori, ma negli ultimi tempi viene anticipato anche alle medie», precisa Lancini. Si comincia con mal di pancia e mal di testa, per poi scoprire che sono solo sintomi fisici per sfuggire da un ambiente scolastico vissuto come un incubo. E in Italia il tasso di abbandono scolastico è ben sopra la media europea: tra il 2011 e il 2014, 167mila ragazzi hanno rinunciato al diploma.

Ritiro sociale e dipendenza da Internet sono spesso interconnessi e si sostengono reciprocamente. Dove sorge la dipendenza, aumenta il ritiro sociale. Dove c’è il ritiro sociale, aumenta l’uso della Rete come valvola di sfogo. Anche se, come Lancini precisa nel suo libro Adolescenti Navigati, «non tutti i ritirati sociali riescono ad accedere alle esperienze offerte dalla rete».

Un campanello d’allarme è il restare connessi in Rete durante la notte. 
«Questi ragazzi», spiega Valentina Di Liberto, «spesso invertono il ritmo circadiano, restando svegli la notte e dormendo il giorno, cominciando via via a evitare le relazioni reali, lo sport o altre attività all’aperto». Reclusi nelle loro stanze, frequentano il resto della casa quando tutti dormono. Per procurarsi del cibo, o solo delle sigarette. Poi tornano nell’incubatrice virtuale, dove tutto è più semplice e confortevole. «Non c’è un confronto diretto, non c’è un impatto emotivo né i giudizi, spesso spietati, dei compagni di classe», spiega Di Liberto. Tutto in Rete sembra sotto controllo. «Ci si può scollegare quando si vuole, decidere con chi connettersi, gestire la comunicazione. C’è una forte sensazione di controlloche non c’è invece nella vita reale».

Le modalità di dipendenza dalla Rete sono diverse, in realtà. C’è chi mantiene le relazioni solo online, chi usa i videogiochi senza alcun contatto, chi naviga solitario alla ricerca di informazioni. Qualcuno degli hikikomori, raccontano gli esperti, arriva a rispondere solo se viene chiamato con il nickname che usa in Rete e non con il vero nome. C’è chi si rinchiude per mesi, chi per anni.
Tamaki Saito è stato il primo psicoterapeuta a studiare il disturbo di Hikikomori, evidenziando anche alcune analogie tra i ragazzi giapponesi e i cosiddetti “mammoni italiani”. «Una delle caratteristiche degli hikikomori è lo stretto rapporto con una madre iperprotettiva», spiega Valentina Di Liberto. L’iperprotezione può rendere il figlio narcisista e fragile allo stesso tempo. Se la realtà non coincide con la sua idea di perfezione, c’è il rischio del rifiuto e del ritiro.
Spesso si parte da una sensazione di vergogna e inadeguatezza per il proprio corpo, che porta anche a creare identità diverse da se stessi in Rete. «Su Internet si diventa aggressivi o trasgressivi, al contrario di quello che si è nella realtà», racconta Valentina Di Liberto, «incanalando le emozioni represse che non si usano nella vita reale. Si costruiscono personaggi che hanno anche connotati fisici diversi da quelli della realtà».Ragazzi tanto silenziosi nel mondo reale, quanto disinibiti in quello virtuale. Come Lucia, 13 anni, che viene scoperta dalla nonna davanti al suo portatile mentre fotografa e posta in Rete l’unica parte secondo lei accettabile del suo corpo. O come Stefano, pacato e timido dal vivo, che diventa violento quando entra nel personaggio di un videogioco.
Ma se la Rete «diventa la difesa che la mente sceglie di utilizzare», spiega Lancini nel suo libro, «significa innanzitutto che l’adolescente sta cercando di non cedere a un dolore che, per qualità e intensità potrebbe risultare inaccessibile». E in questo caso, rispetto a chi si aliena anche dalla Rete, Internet è un’àncora di salvezza. La Rete non è la causa del ritiro dalla realtà, ma un tentativo estremo di restare agganciati al mondo esterno, dice Lancini. Non a caso, c’è chi, navigatore solitario senza contatti, comincia a guarire proprio aprendo un profilo su Facebook.«I rischi più grandi da cui si salva un ragazzo immerso nella Rete e ritirato socialmente possono essere dunque il suicidio e il break down psicotico, ovvero la perdita della speranza di riuscire a costruirsi un’identità e un ruolo sociale presentabili al mondo esterno».
E spesso proprio dalla Rete comincia la cura per i ritirati sociali. Che per definizione non vogliono incontrare nessuno, tantomeno uno psicologo stipendiato dai genitori. Non esiste un approccio univoco. Alla cooperativa Hikikomori di Milano si fanno sedute di psicoterapia individuale o di gruppo, e il Comune ha finanziato fino a giugno anche un laboratorio di consulenza gratuita per otto adolescenti con dipendenze da internet e dai videogiochi che include la consulenza ai genitori. Anche la cooperativa Minotauro ha un consultorio gratuito per chi non può permettersi sedute di psicoterapia per i propri figli adolescenti in crisi. Le dipendenze da Internet, spiega Lancini, non vengono trattate con un approccio di disintossicazione, sottraendo smartphone, router e pc. Si parte spesso dai genitori, per arrivare ai figli anche dopo molti mesi. E il primo contatto, anche con lo psicologo, molto spesso avviene in chat.
Ma Lidia Baratta non è la prima a parlarne.
Il primo articolo sull’argomento (è considerato il primo in Europa) è stato scritto da una giovane truccatrice italiana che se ne è andata a vivere a Londra dove lavora come make up artist. Si chiama Rosita Baiamonte e il suo pezzo risale al 1 Marzo del 2013, ben venticinque mesi fa, apparso sul suo sito/blog che si chiama “abattoir”.
Lo trovo un pezzo interessante. Un esempio sullo stato di salute del nostro paese, sempre ghettizzato e distratto, a parlare solo e soltanto di danaro e di partiti politici. La Baiamonte, allora, ci aveva provato con più articoli, ma vista la totale indifferenza del pubblico, ha poi lasciato perdere. Rimane il suo accredito, che io le riconosco, per essere stata la prima curiosa ad affrontare l’argomento in lingua italiana.
Ecco il suo articolo di allora con relativo link
http://www.abattoir.it/2012/03/01/hikikomori-mi-dissolvo-2/


Hikikomori: mi dissolvo
Pubblicato il 1 marzo 2012 da Rosita Baiamonte
Il sol levante è portatore di novità, di tecnologie avanzate, di una quantità di suggestioni figlie di una cultura diametralmente opposta a quella occidentale; in particolare, il Giappone è una terra affascinante e per certi versi incomprensibile a noi poveri occidentali.
Ad esempio, è notizia recente quella di una donna giapponese invalida che ha rifiutato di farsi pagare una pensione d’invalidità dallo stato. Strano, assurdo, incredibile.
Sì, per noi che viviamo in un mondo popolato da falsi invalidi con pensioni d’oro, è un bel po’ strano.
Tuttavia, il Giappone è sempre fonte d’ispirazione, sia nel bene che ne male.
Nasce in Giappone il fenomeno Hikikomori, che è a tutti gli effetti una sindrome che colpisce soprattutto gli adolescenti, un fenomeno che, fino a qualche anno fa, sembrava non aver colpito l’Italia, ma che invece negli ultimi anni pare essere sbarcato anche da noi, quasi fosse una moda. 
L’hikikomori è un ragazzo che a un certo punto della sua esistenza decide di isolarsi dal mondo e dalla realtà che lo circonda, si chiude in camera e lì passa le sue giornate. La camera diventa il luogo fisico, dove egli conduce la sua vita, luogo che a poco a poco si ammassa di oggetti, di resti di cibo, di sporcizia, di polvere, quasi come se gli oggetti diventassero essi stessi hikikomori e non potessero più uscire da quel luogo, così come chi li possiede. Oggetti che, in qualche modo, lo riportano in quella realtà che egli vive e osserva solo attraverso un computer.
Egli vive di notte, di giorno oscura le finestre, odia la luce. La notte si rifugia nei social network, nei forum, dove incontra altri hikkikomori come lui, creando quasi una rete. Un po’ come accadeva qualche anno fa (ma forse accade ancora), con le adepte di Ana, la dea dell’anoressia, fenomeno quanto mai preoccupante che vedeva coinvolte centinaia di ragazze che, da un giorno all’altro, avevano messo su una rete di blog dove si scambiavano consigli su come dimagrire in fretta e su come essere sempre fedeli ad Ana (e guai a sgarrare!).
 Alienante.
L’ikikomori trasferisce nello spazio angusto della sua camera tutta la forza e l’onnipotenza che non riesce ad avere fuori da lì, nella vita vera, quasi come se vivesse dentro un videogioco dove egli è l’eroe, e in quello spazio l’hikkikomori crea, inventa, scrive, produce.
In Giappone il fenomeno è in fortissima espansione; si contano già più di un milione di casi.
Uscire dall’isolamento è difficile se non impossibile, curare dei soggetti in hikikomori è un’ardua impresa, perché rifiutano di lasciare il loro habitat e nessuno riesce a raggiungerli. Inoltre, aspetto da non trascurare è la non volontà di tornare a un’esistenza normale, perché la loro è una scelta, è un’auto esclusione dalla vita.
L’hikkikomori smette di avere bisogni pratici, non si cura di sé, del suo aspetto fisico, il suo unico bisogno è quello di espandersi mentalmente attraverso la rete, attraverso la scrittura, la pittura, la creatività.
La cosa realmente preoccupante di questo fenomeno è che l’hikkikomori finisce con l’appassire, perché si nega al sole, alla luce, ai rapporti sociali, e piano piano, deperisce e muore.
Sì, l’hikikomori è un alienato, non per natura, ma per scelta, sebbene esistano delle cause scatenanti che portano il soggetto a voler fuggire dalla realtà; ad esempio, soggetti che per natura molto timidi o che sono costantemente oggetto di scherno da parte dei coetanei sviluppano una forma di repulsione e di rifiuto verso quella società che, di fatto, ride di lui.
Tuttavia, non bisogna relegare il fenomeno a semplice apatia o forma acuta di timidezza. È qualcosa di più, è come un morbo che pian piano si espande a macchia d’olio e che sta coinvolgendo sempre più paesi, compresa l’Italia, anche se in forme diverse.
Secondo alcuni psicoterapeuti, come la Dott. Carla Ricci, autrice del libro: “Hikikomori: adolescenti, volontà di reclusioni”, il fenomeno in Italia ha preso una piega diversa e presenta dei lati meno feroci, ad esempio l’isolamento non è quasi mai totale: gli hikikomori italiani, a differenza dei giapponesi, accettano di consumare i pasti coi genitori, e di vedere, di tanto in tanto, un amico con cui passare delle ore. Questo è dovuto anche a una differente organizzazione della società e della famiglia rispetto al Giappone, dove il fenomeno è visto dalla società come un’onta e qualcosa da nascondere, per cui le famiglie non se ne preoccupano e preferiscono, anzi, agevolare l’esclusione dell’adolescente nel tentativo di nasconderlo al mondo.
Tuttavia il fenomeno italiano, pur essendo ancora marginale, desta già preoccupazione; sempre più genitori lamentano nei loro figli una sorta di apatia e di disinteresse verso tutto, per cui sempre più spesso gli adolescenti vengono affidati alle cure di psicoterapeuti e questo, in qualche modo, fa da argine a una degenerazione della patologia.
Quanti di noi non hanno attorno amici che passano la maggior parte della loro vita davanti a un pc? Che se gli chiedi: ehi, usciamo a farci una pizza? Ti rispondono: no, devo ultimare il livello, di non so quale diavolo di gioco di ruolo! Ce ne preoccupiamo? Avvertiamo che anche noi spesso ci lasciamo andare a momenti di tremenda apatia, che ci risucchia le energie e ci spegne?
Ho idea che questo fenomeno sia lontano dall’arrestarsi, magari non sfocerà mai nelle forme di totale reclusione, ma sicuramente le nuove generazioni si stanno sempre più alienando, e sempre più spesso si rifugiano in un mondo a parte, dove si sentono eroi, insuperabili, onnipotenti, anche se in realtà, sono fragili e indifesi.

E voi che ne pensate? Credete sia la solita moda esportata dal Giappone o è qualcosa che accomuna tutti gli adolescenti del mondo a prescindere dal paese? E credete che la tecnologia abbia esacerbato il fenomeno?


  1. Mi spiego il tutto andando all’A-B.C.
    L’uomo ha saputo distruggere la vita quotidiana rendendola troppo comoda, facile e superficiale per un verso, con una organizzazione sempre più ferruginosa e complicata dall’altro verso.
    I giovani, e non solo loro, provano un naturale e comprensibile rifiuto di tutto ciò.
    Mi vien persino da pensare che l’invasione brutalmente medioevale, apparentemente lenta, ma inesorabilmente sempre più veloce, quella che viene dal sud, forse porterà un inesorabile scossone che cambierà drasticamente in meglio questa nostra orrida decadenza.
    Almeno, lo spero.
  2. Brutta razza gli psicologi, riescono a risolvere i “disagi” della psiche senza il ricorso agli psicofarmaci? Le nuove tecnologie avanzano, e un parte sempre maggiore dei processi decisionali, viene svolta da macchine, lo studio delle connessioni neurali é ormai in fase avanzata, con tanto di applicazioni reali. E tutto questo mentre gli psicologi sono ancora li a chiedersi: che cos‘é la realta? secondo me si rendono conto che piú la tecnologia progredisce, e piú il loro impianto teorico, si avvicina all’obsolescenza; rigurado al fenomeno spiegato nel post, beh che dire, in italia c’é una naturale tendenza a sfruttare ogni anomalia della societa, per farsi finanziare il “progetto”, per quel che mi riguarda finira cosí anche stavolta, con tutte le storture del caso; ma del resto, si cerca sempre di curare chi si isola dalla società, mai peró ho sentito di cure rivolte a coloro che invece isolano ed emarginano, sicuri del loro giudizio, mai ho sentito di programmi per curare una società tirannica, … a me tutto questo suona come la solita logica del forte coi deboli, e deboli coi forti. Ma se proprio si vuol metterla in termini di j’accuse, non é che magari l’hikikomori,piú che una piaga, sia un sintomo, di una piaga ben piú grave, ovvero l’imbarbarimento della societá, diventata cosí esclusiva, da condannarsi all’estinzione? Magari l’adolescente mite, ha “assaggiato” la società, ha tratto il suo giudizio, e ha preso una decisione, l’unica ingrado di garantirgli l’integrità, di qualunque genere esa sia? Sinceramente non credo alla buonafede di questi “assistenzialisti”, la magior parte ragionano in termini economici, per loro un milione di reclusi sono meno consumi, meno pil, … meno soldi che girano. Questo é quello che penso. Per chi ha da obbiettare, dico semplicemente che forse il dna umano non é fatto per grandi agglomerati di individui come le metropoli, tutti i segni di controllo sociale, di violenza e degenerazione fanno pensare all’essere umano, come una specie adatta a vivere in piccole comunità, più o meno separate, oltre una certa soglia, scatta il “programma” di sterminio, … vabbé magari sono stato un po’ drastico.
    • beh in effetti l’essere “….. umano non é fatto per grandi agglomerati di individui come le metropoli, ” è inutile voler cancellare col cervello un’evoluzione di millenni scritta e inserita a fuoco nei nostri geni, non a caso si sente la necessità di far parte di un GRUPPO, o CLUB o SOCIETA’ SPORTIVA ecc…. proprio perche quella esterna è troppo grande e in gestibile a livello personale, cerchiamo il gruppo stretto esattamente come tutti gli altri esseri viventi sul pianeta terra, ma ” oltre una certa soglia, scatta il “programma” di sterminio, … ” vorrei aggiungere che detto programma scatta xke da circa 80anni non c’è piu stata una selezione drastica nella popolazione….
      prima ogni 30/40anni scattava una guerra che riportava al via la società, o una pestilenza che sterminava e riportava al punto di partenza la società…….adesso, in mancanza di cavalli trottano gli asini, chissa che il famoso scossone con conseguente riduzione di persone (leggi malattie e modi di vita cui non siamo piu abituati) non ce lo tirino dal sud del mondo…..
    • Da ciò che scrive pare lei non abbia molto chiari i vari compiti e le varie competenze dello psicologo. Per inciso esistono diverse aree psicologiche che operano e ricercano in contesti scientifici anche molto distanti tra loro.
      Lo studio delle funzioni neurali è compiuto da psicologi con laurea in Neuroscienze, mentre l’uso dei farmaci è interdetto agli psicologi e permesso agli psichiatri e medici di base.
      Forse lei usa come fonte un’immaginario comune piuttosto diffuso (purtroppo, aggiungerei) che identifica una fantomatica figura di psicologo non meglio identificato (psicanalista ? cognitivista ? comportamentalista ? neuroscenziato ? psicologo del lavoro ? psicologo sociale ?) che si occupa di temi più vicini alla filosofia che non alla medicina.
      Ciò non toglie che purtroppo molti psicologi usino l’ingenuità e la poca cultura scientifica nel nostro paese per speculare sui loro pazienti (ma anche i fantomatici counselor operano in questo modo, non si preoccupi).
      Cordialmente,
      Un tirocinante in psicologia
    • Rispetto alla seconda parte del tuo post mi trovi d’accordo. Si pensa a curare il sintomo e non la radice del problema. Ecco perché, però, sono in disaccordo con la prima parte, che, a mio avviso, rinnega tutto ciò che lei ha scritto poco dopo.
      Gli psicologi curano i problemi interni della persona senza psicofarmaci proprio perché quest’ultimi svolgono la funzione che ha anche la società moderna: arginare il sintomo per un periodo limitato senza entrare nel cuore del problema.
      La cura fondata sulla parola e quindi sulle tecniche fondate su di essa, mirano a scavare nell’individuo fino al nocciolo della sua impostazione psichica per far sì che le risorse di cui dispone emergano da sole. Chi si domanda cos’è la realtà è la filosofia, non la psicologia. Temo che lei abbia preso una cantonata dicendo ciò che ha detto. Si informi meglio.
    • Ottimo cambio di prospettiva che mette a fuoco il vero problema sociale, che tende ad interessarsi solo delle vittime, anziché occuparsi di intervenire sui carnefici. Questo commento mi piace molto.
    • Quindi secondo te la societa’, la cultura, le relezioni, la famiglia, il gruppo dei pari, ecc.. Sono tutti elementi che non devono essere presi in considerazione per spiegare il fenomeno? La psicologia si occupa anche di questo.
    • Che ti aspettavi da una società che nel 2015 crede ancora in un Dio inventato da chi credeva ancora che la terra fosse piatta, invece che credere ed adorare come se fosse un Dio o una Dea l’amore in tutte le sue forme?
  3. Viviamo in un’ europa che produce con scienza e coscienza disoccupazione, in Italia quella giovanile é al 40%, e ci preoccupiamo perché i nostri giovani disoccupati si isolano nella rete? E cosa dovrebbero fare? Andare al bar? Giocare a bocce? Alla socializzazione finalizzata ad ammazzare il tempo é preferibile l’isolamento in rete. Almeno ci si informa e si capisce qual’é la vera causa del problema.
    • Non si parla qui di socializzazione “finalizzata ad ammazzare il tempo” ma di scambio umano finalizzato alla ricerca creativa di quei tipi di incontri da cui nascono idee, suggestioni, progetti collettivi, aziende, ecc. Per non parlare del fatto che si mettono in gioco le proprie esistenze e ci si confronta. L’isolamento aumenta la paura, la disaffezione al rapporto umano e ingigantisce aggressività e ferocia perchè il web amplifica l’emotività: quando si sta in rete è come se si parlasse con delle persone indossando uno scafandro. Nell’incontro umano, invece, c’è lo sguardo, il tatto, il suono, il proprio sesto senso che ci spinge a provare piacere o dispiacere per l’interlocutore e ci spinge a scendere in campo. L’essere umano non è isolato. Non lo è mai stato. Altrimenti non avrebbe inventato le comunità. Isolandoci ci disumanizziamo.
      • Infatti ha inventato le comunità e non il suo esatto contrario ossia le megalopoli, che sono proprio esse che disumanizzano.
        L’uomo si crea la sua cerchia di amicizie, si relaziona con essi in una dimensione umana, non in mezzo a milioni di individui ove la solitudine e ancor più peggiore e tangibile che in cima ad una montagna.
        La massa distrugge l’umanità delle persone, e la ricerca di se stessi la si pratica con l’introspezione non al centro di una città di milioni di persone.
        Questo è l’effetto delle società moderne, caotiche, abnormi rispetto al peso che i singoli individui possono supportare.
        I migliori pensieri, le migliori forme di intelligenza si concretizzano quando si è da soli, in piena solitudine confrontandosi con se stessi, non con gli altri.
        Le migliori menti lo confermano.
        Essere umani non è proprio una bella cosa, la storia ci ricorda cosa sono stati capaci di fare le masse quando condividono le loro coscienze, noi abbiamo piuttosto bisogno di ritrovare noi stessi dentro noi stessi, liberando le nostre potenzialità affinché i nostri simili possano anch’essi beneficiarne, non passare le giornate a relazionarci sterilmente per poi giungere alle stesse conclusione che autonomamente con la riflessione potremmo raggiungere ascoltando noi stessi.
        Noi nasciamo soli, viviamo soli in mezzo agli altri e moriamo soli, il fatto che altri individui siano presenti temporalmente con noi e solo una casualità che ne migliora e ne peggiora la nostra essenza, anzi se troppi sono, oltre a creare problemi di convivenza, mettono in seria difficoltà la natura.
        Bisogna tornare alle origini, quando l’incontro con altri umani non della propria comunità era un evento raro e come tale molto apprezzato, tenuto in conto e quasi sacralizzato.
        Questa è l’umanità, questo è relazionarsi, questa è la vera essenza dell’uomo e, questo fu all’origine.
        • Sono d’accordo con lei sul fatto che la massificazione sia disumanizzante, così come concordo sull’indiscutibile fascino creativo della solitudine, base di ogni pensiero, progetto,azione. Poi, c’è la socialità che non è la notte estrema in discoteca o la violenza negli stadi, ma la ricerca di altri umani con i quali confrontarsi: quella è assolutamente necessaria.
  4. Effettivamente si tratta di un problema serio. La realtà virtuale sta prendendo, specialmente nelle ultime generazioni, piano piano il posto della realtà fisica, al punto che ci sono degli studi, sulle conseguenze fisiche di questo atteggiamento, che registrano dei cambiamenti strutturali nei comportamenti degli adolescenti, specie riguardo la sfera sessuale. Si osserva infatti una significativa diminuzione del desiderio sessuale, o meglio della sua estensione fisica, mentre sono aumentati in maniera esponenziale i casi di impotenza in età giovanile.
    Nonostante gli incredibili raggiungimenti tecnologici degli ultimi anni, sembrerebbe davvero che la qualità della vita, quindi il livello di felicità, sia sceso invece che aumentare. In realtà il livello della felicità non si potrebbe quantificare, ma l’aumento delle “fughe dalla realtà” sembrerebbe comunque essere un buon indicatore.
    Sarebbe interessante conoscere le statistiche del numero dei suicidi prima e dopo l’avvento dell’informatica come fenomeno sociale, cioè prima e dopo il fatidico 1995, l’anno in cui venne reso disponibile il sistema operativo windows.
    La tecnologia, per sua natura, non fornisce risposte esistenziali, ma crea solo delle comodità, cioè risponde a delle esigenze indipendentemente che siano vere o false, giustificabili o meno.
    Mi spiego meglio. La tecnologia mi può fornire le conoscenze per costruire un ponte, che mi porti ad attraversare un fiume, ma non può dirmi per quale motivo ho l’esigenza di attraversare il fiume. Non può dirmi cosa ci vado a fare dall’altra parte, può solo offrirmi la soddisfazione di un desiderio.
    Quindi, dal momento in cui abbiamo un forte desiderio di fuggire dalla realtà, la tecnologia mi può aiutare, creando sistemi virtuali sempre più sofisticati. Ma se ci chiediamo perché vogliamo così tanto separarci dalla nostra fisicità, perché essa ci risulta così dolorosa, allora la tecnologia non può aiutarci e dovremmo rivolgerci a strumenti di indagine interiore differenti, e di cui si stanno perdendo le capacità.
    • Sostiene Democrito: “………dovremmo rivolgerci a strumenti di indagine interiore differenti, e di cui si stanno perdendo le capacità”.
      Il punto è proprio questo: la strategia messa in atto dalle neo-oligarchie del privilegio consiste nell’educare (si fa per dire) la massa a non elaborare, non interiorizzare, non aprire un franco dialogo interiore sviluppando la passione per la sostanza. Vogliono, fortemente vogliono, che poco a poco, uno per uno, finiamo per perdere la capacità di saper leggere gli strumenti interiori. La perdità della socialità umana di valore è il primo tassello.
  5. Questa patologia riportante il termine Hikikomori si può equiparare a quello Nerd, ” termine della lingua inglese con cui viene definito chi ha una certa predisposizione per la tecnologia ed è al contempo tendenzialmente solitario e con una più o meno ridotta propensione alla socializzazione “. Anche se alcuni aspetti dell’ individuo Nerd possano essere interessanti, il pericolo è proprio nella tendenza ad isolarsi dal resto del mondo. L’ Hikikomori è una forma molto più grave rispetto al Nerd. http://it.wikipedia.org/wiki/Nerd
  6. Basta dare la colpa ai giochi di ruolo che se fatto con coscienza sprona alla socialita’. Il problema e’ che la societa’ e’ in pezzi, il malcontento delle persone e’ tale che si riflette in comportamenti indisponenti, maleducati e volti a scavalcare il prossimo persino nell’uscita con gli amici. Nel lavoro si impara ad andare avanti chi fa le scarpe al piu’ debole. In una societa’ indifferente, le persone si avvicinano solo a chi offre di se’ l’immagine del potente con modi arroganti e se certe persone decidono di allontanarsene e’ perche e’ indecente trasformarsi in animali prepotenti per vivere. Argomenti di chiacchiere? Lamentele. Il mondo fa schifo, lavoro in ambienti cattivi ed irrespirabili, il capo stronzo, la cronaca di telegiornale, divorzi, famiglia malata. Se poi queste persone decidono di ritirarsi e’ sciocco pure sorprendersi. Si e’ cosi’ immersi nel male perche ‘la vita va cosi’ di dover apparire con chissa’ quale ‘serieta’ di vivere’ che non ci si rende conto che non ci si sta vicino perche si emana un’energia distruttiva che ti deprime ancora di piu’.
    • Appunto. E’ esattamente così, per questo se ne se parla. E’ il risultato di una società malata. Ma dipende da tutti noi, attraverso il nostro comportamento quotidiano, contribuire a fermare il contagio
      • Il contagio? Il problema e` che si pensa a curare i sintomi, non le cause. Da curare sarebbero quelli che non si sono ancora isolati da questa societa` malata, e che contribuiscono quindi a renderla tale, a partire da quelli, apparentemente, piu` integrati e di successo, che a ben vedere sono quelli che, appunto, dirigono e plasmano i comportamenti delle masse.
  7. Se dobbiamo poi accendere la TV e scoprire anche come la maggior parte non sa manco chi vota o regala il voto perche simpatizza con il furbo di turno dopo che c’e chi si fa il sedere inutilmente… non so cosa si pretenda. Non tutti accettano a testa bassa queste prepotenze. Se si fosse piu’ consapevoli e responsabili anziché questo culto del “mors tua vita mea” avere più educazione civile, non esisterebbero gli hikikomori. Le persone vogliono positivita’, energia, felicita’ sostegno, dateglielo e non avrete piu’ isolati o drogati. E facciamo basta ad ignorare il vero problema.
  8. Che ammasso di banalità, in particolare : ’hikkikomori smette di avere bisogni pratici, non si cura di sé, del suo aspetto fisico, il suo unico bisogno è quello di espandersi mentalmente attraverso la rete, attraverso la scrittura, la pittura, la creatività. … Vi rendete conto che questo, oltre ad essere sempre accaduto, ha portato alla creazione di innumerevoli capolavori da parte di poeti, musicisti, pittori ecc. Introversi e isolati socialmente…uno scrittore dovrebbe come minimo rispettare i vari Calvino, Kafka e Mozart
  9. Non capisco perché questa ossessione nello stigmatizzare chi preferisce magari studiare ed informarsi online presso siti attendibili ed ebook intelligenti piuttosto che perdere tempo in attività che non amano. Per me è di gran lunga preferibile chi con consapevolezza sceglie di tagliare frequentazioni inutili e spendere la propria vita imparando, anziché dare adito a giornate o serate completamente inutili giusto per far finta di socializzare. Le amicizie, se si trovano persone con cui vale la pena stare, si trovano comunque. Ma spingere a tutti i costi chi preferisce altre attività a dover legare per forza, è vano e un vero e proprio abuso. Perché dobbiamo configurare persone che magari vogliono semplicemente arricchirsi interiormente nel dominio della malattia?
    • Appunto. Lei scrive “…..giornate o serate completamente inutili giusto per far finta di socializzare”. Il problema (anzi, la soluzione) consiste nel costruire dei “luoghi salubri” nei quali NON si fa finta di socializzarsi, dei punti di aggregazione umana dove la giornata o la serata non è “inutile” ma è esistenzialmente utilissima. L’idea che Roberta evoca “…perdere tempo in attività che non amano” è costruita su una interpretazione totalitaria della vita, come se la socialità fosse un obbligo, o una imposizione dall’alto o una richiesta da parte di qualche partito, movimento o associazione. E’ una necessità umana. Per quanto riguarda lo studio, poi, non è mai esistito nessun pensatore, artista, scienziato (se non nelle favole hollywoodiane deteriori) che abbia mai prodotto o combinato qualcosa da solo: c’è sempre stato un gruppo, un club, un sodalizio, una squadra compatta di persone che condividono un’ambizione comune, un interesse collettivo, una passione condivisibile. Questo concetto di neo-solitudine che con il mio post ho inteso denunciare altro non è che l’ennesima eredità della interpretazione neo-liberista aristocratica che ci vuole, oltre che tassati, cinici e silenti, ciascuno a casa propria cullandosi nell’indifferenza verso il mondo e i propri simili, ad alimentare il proprio solipsismo, narcisismo, individualismo: la ricetta base della ferocia.
    • Perchè i malati di cui si parla nell’articolo non sono “persone che magari vogliono semplicemente arricchirsi interiormente”, ma persone (e soprattutto adolescenti, che quindi stanno ancora sviluppando la loro immagine di sè e non possono essere pienamente consapevoli) che hanno perso qualunque interesse nel contatto umano, che passano 24 ore su 24 senza parlare con nessuno se non scrivendo, e che spesso non imparano nulla ma scatenano la loro tempesta emozionale attraverso scambi e giochi virtuali.
      L’uomo è un animale sociale: non vuol dire che deve per forza passare le sue giornate a divertirsi in compagnia, ma semplicemente che ha bisogno dell’altro per costruirsi e vivere. Il neonato senza la mamma (o la persona che risponde ai suoi bisogni) non sopravvive.
  10. Hikikomori è la risposta alla deriva nichilista presa dalle società moderne. Il conoscere piuttosto che “essere a conoscenza”, l’introspezione piuttosto che la prostituzione (fisica e mentale) e l’ascesi piuttosto che l’abbrutimento
    https://www.youtube.com/watch?v=1sAPKr_qr6s
  11. Ho una domanda e spero di ricevere una risposta perché è un tema che mi interessa molto. Nell’articolo si individua l’uso di internet come causa principale dell’isolamento.
    Ma se l’uso di internet fosse solo una conseguenza? L’autoisolamento non potrebbe essere una scelta individuale che non dipende dall’uso dei social network? Tra l’altro i social network e l’autoisolamento sono in contraddizione. Ci si può isolare fisicamente rimanendo a casa, ma se si instaurano tante relazioni su internet, pur fittizie, e se si è attivi su Facebook allora vuol dire che sostanzialmente non ci si vuole isolare.
    Per cui la mia domanda è: l’autoisolamento non potrebbe essere una semplice necessità legittima, e il considerarlo un pericolo non potrebbe essere un accanimento terapeutico controproducente?
    • Le comunico la mia opinione: l’internet non è la causa principale dell’isolamento, non lo è affatto. Il web è “la finta medicina”, ovvero: è l’illusione che viene regalata, perchè si fa credere che viene offerta una possibilità creativa per sottrarsi e superare la solitudine sociale e il solipsismo, dato che facebook socializza e quindi spinge a immergersi nella virtualità finendo per convincere se stessi che si sta vivendo una dimensione reale anche emotiva, il che non è vero. Quindi, l’internet non è responsabile. Diciamo che si è presentato come “il guaritore della solitudine degli esseri umani”, quindi non è la causa, ma è un abile produttore di falso che spaccia per cura qualcosa che invece trasforma un problema -magari anche minimo- in una patologia tossica. Le persone diventano dipendenti dalla rete e sono portate a pensare che si stanno socializzando, il che non è vero. L’emotività, l’inconscio, le autentiche pulsioni interiori di ciascuno di noi, però, un giorno presentano il conto perchè la carica istintuale, emotiva, affettiva dell’essere umano non la inganni, non la circuisci, non la freghi: “vuole la robba vera”. Se uno sente di aver bisogno di un vero amico sincero, per i motivi X, se ne frega se ha 5000 amici su facebook o 1. Sta cercando il senso della fratellanza umana autentica che soltanto il contatto diretto in carne e ossa con un amico vero ti può dare. La stessa cosa vale per il sesso. Per l’amore. E per tutto il resto. Una volta che si fa passare la falsificazione delle emozioni, diventa un trucco da baraccone convincere gli esseri umani di qualunque cosa. L’internet è innocente: è l’uso che se ne fa che altera i codici. Alfredo Nobel era un ingegnere civile. Inventò la dinamite perchè per anni studiò le possibilità per risolvere problemi tecnici legati alle necessità di perforare montagne e costruire infrastrutture. Una ambizione nobile. Lui non è responsabile del fatto che i suoi simili l’hanno usato per farci delle armi e massacrare innocenti.
  12. Sono un hikikomori da più di tre anni.
    Trovo questo articolo molto buono anche se mi trovo in disaccordo rispetto certi punti che lei riporta da altri articoli.
    Ad esempio dire che gli hikikomori sono i “mammoni di italia” è abbastanza offensivo nei confronti dell’intelligenza di chi vive quella situazione (putroppo tale termine si trova anche in wikipedia).
    Va specificato, come nel caso delle depressioni, che chi vive tale situazione ha un reale problema a non ha una innata pigrizia o poca voglia di fare che lo portano a stare sotto la gonnella della mamma o ad evitare le responsabilità. Molto spesso l’hikikomori parte con una depressione ma se ne vergogna perchè la società ancora accetta poco e non comprende la depressione come una malattia ma come una debolezza e la vergogna della sua condizione lo porta ad isolarsi dal resto del mondo creando un luogo sicuro e protetto.
    Si stima che la depressione nel 2020 sarà la prima causa di morte, è una piaga sociale sempre più grossa e l’hikikomori non è altro che uno delle tante manifestazioni e meccanismi di difesa che accompagnano la depressione.
    Posso riportare il mio caso ma anche il caso di altri hikikomori.
    Oppure basta cercare su youtube un video in inglese che spiega cosa i depressi vorrebbero dire alle persone intorno a loro per vedere gente da tutto il mondo che esprime nei commenti la propria frustrazione verso il doversi nascondere per l’ignoranza che ancora oggi c’è verso questo argomento (“What People With Depression Want You To Know”, non è un video accademico ma fatto da un sito piuttosto popolare e per questo si puo comprendere meglio la dimensione globale e condivisa di quello che dico).
    Conosco anche moltissime persone che fingono di avere una malattia fisica grave perchè sanno che in quel caso la gente comprenderà e accetterà il loro malessere.
    Internet e i videogiochi e tutto il resto non sono il problema in se. La tecnologia esiste e fare i tecnoapocalittici, come spesso ho sentito in giro, è cosa inutile. Ma manca una struttura sociale che non dico fornisca, ma dia per lo meno spazio nella ricerca di valori in cui credere. Io e la mia generazione (e credo anche non solo la mia generazione) ci sentiamo persi in un mare iconografico, soggetti a stimoli e implusi che spesso sono agli antipodi l’uno con l’altro, senza una linea guida. Non è troppa libertà di scelta e di possibilità come potrebbe sembrare ad un occhio poco attento. E’ la mancanza di un obiettivo interiore, di accordare il ritmo interno con la pressione e velocità esterna.
    Non credo che sistemi di valori si possano costruire dall’oggi al domani e dubito fortemente in un cambiamento dal puto in cui ci troviamo.
    Il singolo individuo deve lavorare più che altro sul concetto di adattamento. Il nostro ambiente sta cambiando troppo velocemente rispetto alla nostra capacità di evoluzione come specie. Credo che quello che qualche utente qui scrive nei commenti rispetto alle epidemie e catastrofi, si stia in realtà già verificando ed è questo silente ma sempre più consistente gap tra gli individui che si schermano e si adattano e quelli che invece soccombono. Non è propriamente un sistema darwiniano ma per alcuni aspetti è similare.
    Dal mio punto di vista l’hikikomori non è una moda passeggera. Forse il nome, la definizione lo è. Ma appunto questo gap tra adattamento e non, sarà sempre più consistente attraverso varie manifestazioni perlopiù mentali e di conseguenza fisiche.
    Quanto alla terapia sono felice che qualcuno si occupi della cosa anche in Italia perchè la terapia psicologica è molto utile ma poichè è un fenomeno relativamente nuovo è difficile trovare persone preparate o anche solo che siano disposte ad una terapia a domicilio.
    Per quanto riguarda i farmaci sinceramente li considero invasivi e aatti solo in caso di situazioni non gestibili con la terapia psicologica.
    • Sono assolutamente d’accordo, la scelta è tra l’adattarsi a situazioni negative, brutte, irrispettose, disumane, e cercare una strada alternativa, provare a conoscere qualcuno che non sia così, è inutile stare con persone che ti fanno sentire solo, che tu ci sia o meno, non fa differenza, allora tanto vale cerco una soluzione a questa situazione, quella da curare è la società non le persone intelligenti che cercano di isolarsi da questo obrobrio che ci circonda. L’articolo è molto interessante ed illuminante e mi rispecchia parecchio, ma le persone stanno crollando in un buco nero costruito dalla società dove non esistono più emozioni, dove siamo tutti uguali, a partire dalla scuola siamo trattati come dei robot, per natura non siamo tutti uguali, ognuno ha bisogno del proprio tempo per crescere, di essere trattato in un certo modo, non si conosce più il significato di rispetto nè delle regole nè nei confronti degli altri soprattutto, e allora chi è più sensibile e forse più intelligente, cerca di trovare delle “isole felici” per affrontare la vita con gioia e con un sorriso, invece di sprofondare nell’oblio verso il quale stiamo andando.
      Occorre una modifica negli insegnamenti, sin da quando si nasce e passando per una scuola che dev’essere rinnovata, è indietro di secoli rispetto al mondo che ci circonda, vengono insegnate cose che non ti aiuteranno a vivere, ed oramai forse nemmeno a trovare un posto di lavoro… ma si stanno perdendo anche valori come rispetto ed amore. Incominciamo ad insegnare nuovamente i modi di fare, ma attraverso un coinvolgimento emotivo degli alunni, perchè senza le emozioni tutto diventa noioso, diventa brutto, diventa una mancanza di rispetto verso l’essere uomo di ognuno di noi.
      Purtroppo persone capaci di fare questo sono davvero poche, e l’evoluzione delle persone stesse è molto indietro rispetto alle problematiche che stanno nascendo nelle nuove generazioni, differenze abissali che stanno creando questi disagi.
      Io sto cercando una soluzione alternativa, adoro passare il mio tempo con le persone, non ho problemi a relazionarmi con nessuno, ma non amo la freddezza nè il materialismo che è insito in questo nostro mondo.
      Stefano
      21 anni
    • Che dire, centri perfettamente il punto. Aggiungerei che ad essere prevalentemente interessati a questo tipo di fenomeni sono individui particolarmente “sensibili”, la cui esistenza è caratterizzata da un cardinale, ineluttabile vissuto d’incomprensione e di non adeguatezza alla vita. La complessità delle esperienze viene vissuta sempre attraverso un filtro dispersivo, una sorta di “prisma di rifrazione” che impedisce di centralizzare gli stimoli in una storia, consegnando l’individuo – spesso giovane, spesso ancora “in formazione” – a un’inevitabile frammentazione della propria personalità in un mare di vissuti male assemblati.
      è come se a un certo punto la realtà – “subita” in totale passività – si riducesse a un bombardamento di stimoli violenti e totalizzanti rispetto a un ritmo interno sempre più alienato, perdendo la possibilità di una sincronizzazione fra “interiorità” ed “esteriorità”, vissute non più come due poli di una relazione psicodinamica, ma come due entità metafisiche a sè stanti, due domini rigidamente incomunicabili.
      La causa di questo sfacelo, a mio modo di vedere, è da imputarsi alla serie ormai lunghissima di concause che dalla prima rivoluzione industriale indirizzano gli schemi comportamentali in maniera sempre più violenta verso una società dell’avidità. Chiaro che, in un contesto di attrito sociale in funzione di una “lotta per il successo”, dove la competitività è il parametro fondamentale per selezionare la validità di un’idea, di un comportamento, persino di una persona nella sua complessità, la “medicina-internet”, basata sul mero appagamento di impulsi, offre la via di fuga più semplice nell’isolamento progressivo, a fronte di un destino di – quasi certamente fallimentare – sanguinosa lotta per il “successo”, che altro non è se non una deriva narcisistica sempre meno elaborata, in un contesto sociale che fa dell’apparenza e della mitologia dell’io le proprie architravi fondanti.
  13. AO ragà ma che scherzamo? qual’è il problema? La gente fa schifo meglio uno schermo ;)
  14. Partendo dal presupposto che chi da del “lei” su internet è ormai troppo vecchio per permettersi di dire ancora la sua opinione sul mondo reale…per me questo articolo è in parte vero, ma anche in parte molto molto molto allarmista.
    Il problema è che si tende a paragonare lo stile di vita attuale con quello di una 20ina di anni fa senza tenere in conto che il mondo nel frattempo è cambiato, che la tecnologia è cambiata.
    Se 20-30 anni fa l’unico modo per conoscere persone era uscire, ora è possibile farlo tramite chat. Mentre 20-30 anni fa si poteva solo giocare all’aria aperta oggi l’eSport sta diventando sempre più una realtà affermata (in Korea i videogiocatori sono pagati…).
    Alla luce di ciò perchè dare per scontato che è meglio conoscere una persona in un bar piuttosto che su facebook? Perchè chi fa la partita a calcetto è considerato sano e chi gioca a uno sparatutto online è considerato strano?
    Se 20-30 anni fa un timido era condannato a restare in disparte, a chiudersi in casa a piangere ora può finalmente essere se stesso seppur dietro a un PC: cosa c’è di male?
    • Caro Pasquale, qual’è il mondo reale?
      Partendo dal presupposto che chi da del “lei” su internet è ormai troppo vecchio per permettersi di dire ancora la sua opinione sul mondo reale…
      Mi aspetto delle scuse per Sergio e sono stupita che Tu così giovane, non conosci la netiquette?
      Tutti noi (in assenza di patologie), vediamo quello che vogliamo vedere, sentire, provare, questo è dato dai nostri schemi mentali e ognuno ha il proprio unico, che si modifica in base alle esperienze.
      Linguaggio ed emozioni viaggiano a braccetto, il linguaggio genera azioni.
      Prestare attenzione al nostro dialogo interno, vuol dire che ci stiamo occupando di noi, dei nostri bisogni, che soddisfaremo oppure no. Usare un linguaggio corretto il più preciso possibile, ci dà le indicazioni di come muoverci. L’isolarsi fisicamente dagli altri non è dell’uomo in quanto animale che vive in gruppo.
      E’l’uso inadeguato o improprio dei mezzi, che provoca le dipendenze come ad es. quella sopra citata. Relazionarsi col mondo virtuale per giorni ininterrottamente come il fenomeno hikikomori, può realmente portare a gravissime conseguenze.
      Ai ragazzi che hanno commentato questo articolo dico che i valori possiamo stabilirli noi – ognuno ha i propri – ne conseguono degli obiettivi più o meno difficili da raggiungere, l’indispensabile è averne sempre qualcuno. Evitate di lasciarvi inondare da notizie, modi di dire o fare da massificazione per uniformare tutti, togliendo la capacità di obiettività. Sforzatevi di relazionarvi fisicamente con altri, c’è sempre qualcuno che ha bisogno di noi e viceversa, basta scovarlo. Non è detto che i conoscenti che abbiamo intorno, siano le persone adatte a noi, così com’è vero che sulla terra ci sono 7 miliardi di persone potenzialmente pronti a diventare nostri nuovi amici reali.
      Confrontarsi, per scoprire di non essere diversi ma simili. Essere propositivi anziché sempre polemici, dare il vostro contributo magari anche a CHI ha scritto proprio qui sopra, sarebbe un utile gesto intelligente di UTILIZZO DI WEB.
      • Qual è si scrive senza l’apostrofo… Chi usa il lei su internet non è un vecchio: è solo una persona educata.
        Chi si ritiene “libero pensatore” non obbedisce ai luoghi comuni e non incrementa, con la sua voce, il belato del pecorismo di massa. Cara Tamara, o Tamara cara che a zero spara, lei è nata vecchia e nella sua sicumera si specchia…
  15. Salve, l’articolo è interessante ma ci sono diverse imprecisioni. Non parlo del fenomeno in sé, ma del contesto della società giapponese che conosco un po’, sia in maniera diretta che indiretta.
    I dati economici e di disoccupazione di cui si parla nell’articolo sono superati da anni, quelli sono praticamente i dati pre-crisi. Il Giappone ha perso il suo status di super-potenza economica a favore della Cina, e ormai fenomeni come disoccupazione e povertà sono, purtroppo, bene conosciuti anche lì, sebbene non ai nostri livelli.
    L’articolo quindi fa pensare che abbia preso una parte scritta una decina di anni fa e riaggiornato nella seconda parte ai dati sociologici attuali; il che però è fuorviante, laddove si parla di un aumento del fenomeno hikikomori del 356% dal 2009 al 2014 (che sono gli anni della crisi).
    Anche la descrizione del quadro familiare giapponese è, nella sua estrema sintesi, piuttosto distorta. In termini generali di casi clinici può essere vero, ma siamo sullo stesso piano dello definire tutti gli italiani “mammoni”; attenzione però, quando si generalizza così su una cultura lontana dalla nostra, oltre a generalizzare, si fa cattiva informazione.
    • Signorina Alice, non so chi lei sia, ma da come si presenta offre l’impressione di una persona esperta in geo-politica asiatica, con l’aggiunta della presuntuosa opinione per cui lei è in grado di stabilire quale sia la buona e la cattiva informazione. Le rispondo quindi sul merito: uno dei più grandi falsi ideologici (ma c’è un motivo per cui è stato costruito) degli ultimi tre anni -ma è un fatto solo italiano- consiste nell’aver ingigantito a dismisura la potenza economica cinese addirittura presentandola come “nazione guida” nel panorama economico planetario, con gli Usa il Canada e la Gran Bretagna in totale defaillance e il Giappone in preda a una crisi sistemica che lo ha impoverito. Il che è falso. Non soltanto la Cina non è la prima potenza, ma non è neppure la seconda, bensì la terza, dopo il Giappone che ha un pil intorno agli 8.500 miliardi annui con la Cina che è riuscita ad arrivare agli 8.400. Gli Usa hanno un pil intorno ai 16.500 miliardi e una flessibilità economica incomparabile al sistema produttivo cinese. Quando lei scrive “….anche la descrizione del quadro familiare giapponese è, nella sua estrema sintesi, piuttosto distorta” penso che si riferisca al post di qualcun altro. Non ho neppure menzionato l’argomento e non ho accennato affatto alla famiglia giapponese. Secondo me ha sbagliato post. la disoccupazione in Giappone, per l’appunto è da loro considerata “preoccupante” -essendo quasi all’1% (davvero beati loro) dato che nel 2003 era lo 0% ed erano costretti a fare campagne pubblicitarie per convincere laotiani, vietnamiti e cambogiani ad andare a lavorare lì. Il Giappone è un sistema in cui hanno trovato la quadratura del cerchio: sono conservatori in politica e progressisti in economia. E’ l’unica nazione al mondo che applica rigorosamente una politica economica keynesiana di investimenti a debito dello Stato perchè il senso della comunità e l’idea della collettività è radicata nella società ed è molto forte. La pensiamo diversamente perchè io e lei parliamo di realtà diverse, forse conosciamo dei giapponi totalmente diversi. Non capisco, inoltre, che cosa c’entrino i mammoni. L’articolo che ho scritto affrontava un problema socio-psicologico basato sul fatto che il termine hikikomori è stato incorporato dall’Accademia della Crusca come “neologismo” nella lingua italiana a tutti gli effetti perchè in Italia il problema oggettivamente esiste ed è legato “anche” al gigantesco problema dei poveri economici che in Italia ha raggiunto il record negativo in Europa. Ma non se ne parla. Questo è il pericolo da noi, a differenza del Giappone dove i problemi sociali vengono affrontati dalla loro classe dirigente. Il motivo per cui questo mio post ha destato tante reazioni, commenti e un vivace dibattito, è perchè è andato a toccare un problema che le persone sentono vivo, reale e attuale già da molto tempo.
  16. cosa diavolo c’entrano i giochi di ruolo? e inoltre, non hanno livelli. i giochi di ruolo propriamente detti sono socializzanti, si giocano cioè in gruppo. cavolo, veramente, a parte che prima di scrivere su un argomento si presume che se ne sappia qualcosa, ma qualora questo non sia, un minimo di informazioni prima di passare a scrivere, vanno raccolte. un minimo di ricerca va fatta!
    • Anche io non ho affatto capito che cosa c’entrino i giochi di ruolo, il solo fatto di menzionarli è fuorviante. Sono d’accordo con lei: i giochi di ruolo sono la base della socializzazione. I hikikomori certamente non li praticano e non ne vogliono sapere nulla, anzi li detestano. Loro, infatti, sono cristallizzati e l’ultima cosa che vogliono è uscire fuori dal guscio protettivo che si sono costruiti, mentre il gioco di ruolo viaggia sulla sponda opposta perchè -è la regola base- spinge i partecipanti a uscire dal proprio guscio.
  17. Quello di cui hanno veramente bisogno tutti gli esseri umani è il rispetto. Quello che ci viene tolto dal momento che nasciamo, prima dai genitori, poi dagli insegnanti e in seguito, dalle religioni e dai governi.
    Non esiste niente nell’umano per qui valga veramente la pena di vivere e ci consenta di essere veramente felici, sicuri, responsabili e rispettosi a nostra volta degli altri e di tutto quello che esiste e si manifesta. Le culture che hanno formato le nostre mentalità, sono antisociali, obsolete. Gli unici sistemi sociali che funzionano nel nostro pianeta, sono quelli degli insetti e degli animali in genere. Sistemi sociali questi, per la cui costituzione non sono stati necessari, ne le culture, ne le religioni e tanto meno i governi o le regole precostituite da rispettare. Ogni essere vivente, compreso l’uomo hanno già impresso nei loro animi il senso etico della coesistenza e per poterlo manifestare, devono essere solo rispettati. Siamo delle anime ideali immortali, generate da cause ideali, viviamo immersi nelle idealità delle creazioni e non ce ne siamo mai accorti………….
    Renzo De Santis
  18. Mi permetto solo di segnalare questi studi, pubblicati in italiano, di Carla Ricci, laureata in Antropologia presso l’Università d Bologna e dottore di ricerca all’ Università di Tokio dove al momento lavora, che da anni sta seguendo il tema di Hikikomori:
    C. Ricci, Hikikomori : adolescenti in volontaria reclusione, Milano, Franco Angeli, 2008
    C. Ricci, Hikikomori : narrazioni da una porta chiusa, Roma, Aracne, 2009


http://www.libero-pensiero.net/si-chiama-hikikomori-e-considerato-il-piu-grande-pericolo-psico-sociale-per-la-nostra-specie/

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